17.07.2015
salve sono un “ragazzo” di 27 anni dopo molti anni di depressione ed allontanamento dal mondo (almeno 11 anni) dal febbraio 2014 ho cominciato un percorso con una psicoterapeuta, dopo il primo anno dove mi sentivo “meglio” uscivo più frequentemente di casa (9-10 volte al mese) e soprattutto avevo voglia ed entusiasmo da vendere…da marzo di quest’anno ho cominciato a sentirmi svuotato, non riuscivo a fare quelle cose che riempivano i miei giorni tutti uguali…maratone di film…musica…giochi sul pc…tutto quello che un rinchiuso in casa può fare per ammazzare il tempo…la psicoterapeuta diceva che era una buona cosa, sentire desideri nuovi, come uscire di casa, fare amicizie, trovare lavoro, un amore…le cose che fanno di un corpo un essere umano…però qui nasce il problema…la mia vita resta del tutto piatta anzi si è aggiunta un dannato senso di impotenza nei confronti di tutto…il non riuscire…ho anche conosciuto una persona in rete ma non ho potuto dare seguito alla cosa, e questo mi ha devastato, ora ho chiesto alla terapista di poter prendere degli psicofarmaci, oltre a continuare la terapia (gestalt) ma lei nn vuole, è categorica…dice che ho la forza pere farcela da solo…io non sono d’accordo, anzi credo che la terapia mi stia facendo male, nel senso ha risvegliato in me desideri e voglie che al momento non posso appagare in alcun modo, sono bloccato e sociofobico, e questo mi fa sentire malissimo, impotente appunto, ho anche dei problemi di salute che nn riesco ad affrontare, vorrei fare presenti questi miei dubbi alla psicoterapeuta, ma ho paura di “perderla”, io mi fido molto di lei si è creato un buon rapporto, poi lei è venuta in contro alle mie problematiche economiche pur essendo una professionista anche “riconosciuta” dentro di me sento che l’ aiuto che mi sta dando è prezioso, so che la terapia è l unica strada per tornare nel mondo per una persona come me, ma si è creato “uno squilibrio” enorme tra il “volere” e il “potere”…io la prima cosa che dissi alla prima seduta dissi” voglio stare bene da solo” poi ho rivisto moltissimo questa mia posizione, fino a pochi giorni fa, ora mi ritrovo con le stesse sensazioni di allora, anche a causa della delusione per un amore che poteva nascere e che invece è sfumato…ora non so come e se voglio continuare, con la terapia 1-1 con la terapia di gruppo…proprio la terapia di gruppo ha dato un accelerata “anomala” a quello che doveva essere “il mio risveglio” emotivo e pratico, io ora mi trovo in balia di voglie che non posso soddisfare, di delusioni che non riesco ad accettare e ne comprendere, di paure nuove e di un senso di smarrimento incredibile…scusate se sono stato troppo contorto, ma mi è veramente difficile descrivere questo momento…in pratica vorrei sapere se integrare alla terapia i farmaci può essere d’aiuto…grazie
psicologo
[#1] dopo 33 minuti
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Gentile Utente,
le sue difficoltà andrebbero affrontate in psicoterapia, seguendo le indicazioni della Collega. Forse lei sta attribuendo ai farmaci una valenza “salvifica” che purtroppo non hanno.
La sua intolleranza alla frustrazione, abbastanza evidente, va gestita all’interno del percorso che sta facendo. Deve comprendere che la psicoterapia crea nuovi stimoli quindi è abbastanza normale trovarsi talvolta spiazzati, ma fa parte del percorso di cura e crescita.
psicologo
[#2] dopo 13 minuti
Gentile Utente,
ha mai pensato che il fatto di non poter realizzare alcuni progetti o di non poter dare seguito ad una frequentazione stiano diventando il pretesto per mettere di mezzo la Sua terapeuta?
Che cosa c’entra la terapeuta con queste Sue difficoltà? Semmai, potrebbe fare un elenco sia dei risultati positivi, sia di ciò che ancora non riesce a fare e discuterne con la terapeuta, in modo tale da affrontare tali problematiche.
Non butterei via gli importanti risultati raggiunti.
Cordiali saluti,
utente
[#3] dopo 11 minuti

Utente 382XXX
Iscritto dal 2015
“intolleranza alla frustrazione” dottore è verissimo…io negli anni ho preferito annullarmi pur di non dover sopportare rifiuti e fallimenti che capitano nella vita, così facendo ho mortificato la mia parte vitale che adesso vuole a tutti i costi venir fuori, e reclama fortemente i suoi spazi. Purtroppo è propro questo il problema, come assecondare queste nuove esigenze, se la mia vita nella pratica è rimasta la stessa…dopo anni di sonno imposto mi sono risvegliato su di un isola deserta, circondato dal vuoto che mi sono creato, 0 contatti col mondo reali, 0 contatti anche col mondo virtuale, una voglia matta di andare via anche da queste voglie, spesso penso anche al suicidio come unica alternativa, ne parlo ogni volta che il pensiero prende forma, per “sgonfiare” la cosa…negli psicofarmaci vedo un aiuto importante, non tanto alla “riuscita” del mio percorso, ma spesso sento il bisogno di calmare l ansia o il panico che mi prende, o anche il poter stabilizzare l umore, boh non so cosa cerco o vedo negli psicofarmaci, forse solo la voglia di “drogarmi” per non avvertire più nulla come una volta facevo naturalmente…grazie per la risposta
psicologo
[#4] dopo 13 minuti
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>>Purtroppo è proprio questo il problema..
è una questione di prospettiva, questo a mio avviso non è il “problema”, ma la motivazione centrale che va coltivata proprio per far fronte al suo stato di malessere.
>>maratone di film…musica…giochi sul pc…tutto quello che un rinchiuso in casa può fare per ammazzare il tempo..<<
questi interessi andrebbero ridimensionati perché contribuisco a mantenere il suo stato di isolamento. Bisogna uscire dal nido, un passo alla volta.
utente
[#5] dopo 18 minuti

Utente 382XXX
Iscritto dal 2015
Dr. Pileci grazie per la risposta, non sono d’accordo con lei,almeno non del tutto. Credo che queste mie difficoltà centrino eccome con la terapia, credo che la terapeuta consigliandomi di aprirmi con le persone e a non soffocare i sentimenti, mi abbia un po’ lasciato solo in balia delle mie sensazioni. Sembra una pretesa assurda, è vero, quasi come a chiedere di essere seguito passo passo ed è ovvio che non può essere così, sta di fatto che io adesso mi sento peggio di un anno e mezzo fa, più vivo ma molto più sofferente, la “paralisi” di prima mi era più facile da sopportare. Non credo, anzi non voglio ne smettere la terapia ne cambiare terapeuta, non solo perchè non posso permettermelo economicamente, anzi, il rapporto creatosi è molto importante, e la cosa mi da comunque molta forza, almeno nei momenti più bui so a chi rivolgermi, c’è anche un altra cosa…credo di aver sviluppato una sorta di “dipendenza” dalla terapia,(per un periodo anche per la terapeuta) per due settimane ho dovuto saltarla, per problemi della terapeuta e miei, e in quelle due settimane ho perso il controllo, anche con la persona che “frequentavo” e che ho finito per perdere, cosa che mi sta facendo molto soffrire…in pratica sento il bisogno di un supporto continuo, addirittura il bisogno di essere accompagnato in questo “rientrare nel mondo” so che è assurdo, ma ora è questo che provo, il risveglio emotivo è avvenuto, e anche in maniera forte e bella, ma nella pratica resto l’alieno che si sparava tutte le stagioni di breaking bad in 2 giorni o poco più…anzi nemmeno, non riesco più a seguire nulla, o ad appassionarmi a qualcosa…grazie ancora per la risposta
psicologo
[#6] dopo 17 minuti
Io ho detto “cosa c’entra la terapeuta” e non la terapia. E’ chiaro che la terapia deve produrre dei cambiamenti.
In terapia questi cambiamenti avvengono e anche la sensazione che Lei prova è ben descritta. Il paziente deve iniziare a fare diversamente ed autonomamente e la sensazione che descrive ci sta perché è come se Lei indossasse un abito nuovo per la prima volta: magari deve essere aggiustato in alcuni punti…
Ecco, Lei potrebbe incontrare delle difficoltà sui cambiamenti che ha fatto.
Non è possibile essere seguito passo a passo, ma soprattutto non è neppure corretto: il pz. ha tutta la libertà di sperimentarsi, e non è sensato utilizzare la coercizione… Dopo l’apertura a nuovi stimoli, spetta al pz calibrare e spostare il tiro come preferisce. In questo modo ci aspettiamo anche un cambiamento sulla padronanza del pz sulle varie questioni che lo hanno portato in terapia.
Nella pratica, non si scoraggi: se Lei per tanto tempo ha vissuto in un determinato modo, ora ci sta che ha bisogno di tempo per imparare a vivere qualcosa di diverso e di nuovo.
Resta ferma l’indicazione di parlarne con la terapeuta e chiedere precise indicazioni sugli specifici problemi che incontra.
Cordiali saluti,
utente
[#7] dopo 26 minuti

Utente 382XXX
Iscritto dal 2015
La ringrazio per la risposta. io con terapia intendevo anche terapeuta, errore mio, ma da paziente fatico a scindere la terapeuta dalla terapia, rischio transfert sentimentale…scherzi a parte…so che “essere seguiti passo passo” non è possibile anzi dannoso, ma da paziente devo dire che spesso in mente ho la frase “…facile a dirsi” nel senso che tante cose dette poi nella realtà è impossibile o quasi metterle in atto. Affrontare il dolore, una delusione per esempio, per me è quasi impossibile, troppo abituato al vuoto al nulla e quindi anche alla mancanza di dolore…spesso mi viene in mente una frase di De Andrè, da “amico facile”…”se vuoi potrò occuparmi un’ora al mese di te”… è molto ingrato da parte mia avere questo pensiero nei confronti di una persona che sta offrendomi la sua professionalità e la sua vicinanza, ma spesso è questo che sento…ora in realtà sento tanto il bisogno di continuare la terapia, e ho anche paura che esporre questi miei “dubbi” possa far venir meno l aiuto che sto ricevendo, o anche essere visto dopo un anno e mezzo come un probabile fallimento per la terapeuta mi spaventa…in realtà ogni cosa che dico aggiungo un filo ad una ragnatela che già è troppo contorta di suo…dovrei prendermi cura di me ma non ci riesco…non so se ne valgo la pena…oggi alle 18 ho terapia, non sono sicuro di volerci andare, se ci andrò parlerò di questi miei dubbi, anche del fatto che ho chiesto questo consulto, sperando di non creare “danno” nel rapporto con la terapeuta…grazie a tutti per le risposte…di cuore
psicologo
[#8] dopo 10 minuti
Le difficoltà che il pz incontra, se condivise con il terapeuta, sono molto preziose per la continuazione della terapia.
Noi terapeuti non abbiamo mica la sfera di cristallo e se il pz non ci dice precisamente se fa fatica e in che cosa, come possiamo aiutarlo? :-)
Capisco che se Lei ha vissuto in una situazione di “isolamento” per tutelarsi, ora iniziare a provarci non è semplice. Le delusioni in un certo senso fanno parte della vita, tutti prima o poi ci siamo passati, ma ciò che fa la differenza è l’atteggiamento con il quale affrontiamo tali delusioni.
Io posso andare incontro ad una delusione e restare scottata per tutta la vita, ritirandomi e non volendo più rischiare perché ritengo sia troppo doloroso. Oppure posso vederla come una palestra per imparare qualcosa di nuovo e soprattutto sapendo che la mia vita non è finita perchè c’è stata una delusione con una persona o con una situazione…
Cordiali saluti,