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 › Morbo di Alzheimer › Giocare di anticipo con l’Alzheimer – Le Scienze

Giocare di anticipo con l’Alzheimer – Le Scienze

Redazione Luglio 17, 2015     No Comment    

Le variazioni di alcuni biomarcatori durante la mezza età potrebbero portare a tecniche diagnostiche con cui prevedere lo sviluppo di Alzheimer molti anni prima che emerga la demenza e quindi anticipare eventuali trattamenti. Lo suggerisce il risultato di uno studio effettuato su 169 soggetti seguiti per dieci anni (red)

Le variazioni che si verificano in età adulta di alcuni biomarcatori chiave della malattia di Alzheimer potrebbero aiutare identificare le persone più a rischio di sviluppare demenza. Lo rivela uno studio pubblicato su “JAMA Neurology” da ricercatori della Washington University a St. Louis. È la prima volta che uno studio mette in evidenza in un’ampia base di dati le variazioni dei marcatori dell’Alzheimer nel corso della mezza età, quando la demenza è ancora ben lontana dal manifestarsi.

Immagine di una scansione PET sovrapposta a una piastra di Petri: la ricerca biomedica sta cercando di mettere a punto un metodo di diagnosi precoce della malattia di Alzheimer (© Rafe Swan/Corbis)La ricerca ha coinvolto 169 soggetti di età compresa tra 45 e 65 anni, che sono stati seguiti per dieci anni. I soggetti sono stati sottoposti ogni tre anni a una misurazione dei livelli nel liquido cerebrospinale di alcuni marker clinici, tipici della malattia di Alzheimer come la proteina beta amiloide 42, il principale componente delle placche che si formano nel cervello dei pazienti con Alzheimer, la proteina tau e la proteina YKL-40, recentemente identificata come un marcatore per l’infiammazione delle cellule cerebrali.

Inoltre, gli stessi soggetti sono stati sottoposti a scansioni di tomografia a emissione di positroni (PET) per evidenziare la presenza eventuale di placche amiloidi, e ad analisi del DNA per individuare i soggetti portatori delle varianti genetiche che predispongono all’insorgenza della malattia nella terza età. Il rischio genetico è legato in particolare al gene APO-E che codifica per una proteina fondamentale per il trasporto del colesterolo: i soggetti che hanno due alleli identici di alcune varianti del gene hanno una probabilità dieci volte superiore alla norma di sviluppare la demenza.

Dalle analisi sono emersi alcuni dati significativi. Se nel fluido cerebrospinale dei soggetti tra 45 e 54 anni di età e con stato cognitivo

normale i livelli della proteina beta amiloide 42 erano bassi, aumentava la probabilità che negli anni successivi comparissero le placche amiloidi. Si tratta di un risultato che potrebbe portare in futuro a considerare questo marcatore come un fattore predittivo dello sviluppo della malattia nelle età successive. Per quanto riguarda gli altri marcatori, lo studio ha documentato, per la prima volta su un’ampia coorte di pazienti, che in alcuni individui i livelli di proteina tau, di proteina YKL-40 e di altri indicatori di danno alle cellule cerebrali aumentano tra i 55 e i 75 anni circa, senza una correlazione specifica con il rischio di Alzheimer. Ciò ha consentito di delineare quali possono essere gli intervalli di valori normali nelle diverse fasce di età.

Lo studio ha messo in luce anche uno stretto legame dei marcatori con la componente genetica del rischio di sviluppare l’Alzheimer: tutte le variazioni individuate erano infatti molto più pronunciate nei soggetti portatori delle varianti pericolose del gene APO-E.

“Lo sviluppo della malattia di Alzheimer è un processo a lungo termine, questo significa che occorre tenere sotto controllo le persone per molto tempo se si vuole sperare di coglierne i segni in anticipo”, ha spiegato Anne Fagan, autore senior dello studio. “È ancora troppo presto per poter usare questi biomarcatori a scopi predittivi su singoli pazienti, ma questo è il nostro obiettivo: speriamo che un giorno sia possibile iniziare a trattare le persone molti anni prima che si manifestino i segni della demenza”.

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