Intervista a Virginio Salvi, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Crema, sulla Contenzione in Psichiatria

contenzione in psichiatria
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In questo articolo, riprendiamo l’intervista esclusiva realizzata dal canale Psychiatry Online Italia durante il XXVI Congresso Nazionale della SINPF (Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia).

Il tema centrale affrontato è la contenzione in psichiatria, un argomento di grande rilevanza sociale e clinica.

Virginio Salvi, direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze di Crema, ci offre una panoramica dettagliata sulle strategie adottate per ridurre il ricorso a questa pratica, approfondendo le differenze tra contenzione meccanica e farmacologica, e condividendo esperienze e riflessioni maturate nel corso della sua attività professionale.

Virginio Salvi via Psychiatry online Italia

Il contesto lombardo nella gestione della contenzione meccanica

Può spiegarci come la Regione Lombardia sta affrontando il tema della contenzione meccanica in psichiatria?

Il tema della contenzione meccanica in psichiatria rappresenta una sfida di grande importanza sociale. La Regione Lombardia ha deciso di intervenire attivamente attraverso progetti mirati al rafforzamento dei dipartimenti di salute mentale e dipendenza. A tal fine, sono stati stanziati fondi specifici per l’acquisizione di personale qualificato, con l’obiettivo di potenziare l’organico degli SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) e, di conseguenza, ridurre il ricorso alla contenzione meccanica.

Nel nostro dipartimento di Crema, che ho l’onore di dirigere, abbiamo implementato un progetto che prevede l’inserimento di due tecnici della riabilitazione psichiatrica a tempo pieno (40 ore settimanali). Questi professionisti svolgono un ruolo chiave su due fronti: da un lato intercettano tempestivamente il disagio dei pazienti ricoverati, prevenendo così episodi di agitazione psicomotoria o aggressività che potrebbero sfociare nella contenzione meccanica. Dall’altro, lavorano direttamente con i pazienti per ridurre il più possibile la durata della contenzione, se questa diventa inevitabile.

Quali altre attività svolgono questi tecnici e quali benefici avete riscontrato?

Oltre ai compiti preventivi e di gestione diretta della contenzione, le colleghe tecniche della riabilitazione psichiatrica si occupano di condurre gruppi di psicoeducazione rivolti ai pazienti ricoverati. Questi gruppi rappresentano un’importante occasione per approfondire la conoscenza delle terapie farmacologiche, degli effetti collaterali e dell’importanza di proseguire i trattamenti per evitare ricadute.

Grazie a queste iniziative, abbiamo osservato un miglioramento significativo del clima all’interno del reparto, fattore indiretto ma determinante nel ridurre l’incidenza e la durata degli episodi di contenzione meccanica. In concreto, dopo un anno dall’implementazione del progetto, abbiamo registrato un calo sia nel numero delle contenzioni che nella loro durata, un risultato che ritengo molto importante e incoraggiante.

Contenzione meccanica vs contenzione farmacologica: un confronto necessario

Qual è la sua posizione riguardo alla cosiddetta “contenzione chimica” e come si colloca rispetto alla contenzione meccanica?

Personalmente sono assolutamente contrario alla contenzione chimica, una pratica che spesso viene sottovalutata o fraintesa. Molti pensano che non sia una vera contenzione perché non implica immobilizzazione fisica, ma in realtà può avere effetti altrettanto o più dannosi.

Quando si decide di non utilizzare la contenzione meccanica, spesso si ricorre a terapie farmacologiche più intensive e sedative. Ho visto, in passato, pazienti sottoposti a sedazione con benzodiazepine per due giorni consecutivi, una situazione che può comportare rischi significativi come cadute accidentali dovute alla ridotta vigilanza.

In alcuni casi, quindi, la contenzione farmacologica può risultare più pericolosa di quella meccanica, soprattutto se non gestita con la dovuta attenzione. Questo è un aspetto poco discusso ma fondamentale per una valutazione equilibrata delle pratiche di contenimento in psichiatria.

Può raccontarci qualche esperienza che illustra un approccio più graduale e rispettoso nella gestione della contenzione?

Durante un periodo di formazione presso il dipartimento di salute mentale di Pittsburgh, diretto dal professor David Kupfer, ho potuto osservare un modello interessante. In quel reparto per acuti esisteva una “seclusion room”, una stanza dedicata ai pazienti agitati dove potevano muoversi liberamente senza essere sottoposti immediatamente a contenzione meccanica.

Questa stanza rappresentava un primo livello di gestione della crisi, con un approccio che privilegiava la libertà del paziente e la riduzione dell’uso di farmaci sedativi. Solo in caso di necessità estrema si ricorreva alla contenzione meccanica vera e propria, ovvero l’immobilizzazione degli arti.

Questa filosofia mira a minimizzare sia il ricorso alla contenzione meccanica che l’uso eccessivo di farmaci, promuovendo un trattamento più umano e rispettoso della persona.

Riflessioni finali sulla contenzione in psichiatria

Quali sono le sfide principali per migliorare ulteriormente la gestione della contenzione in psichiatria?

Le principali sfide riguardano l’equilibrio tra sicurezza e rispetto della dignità del paziente. È fondamentale investire nella formazione del personale, nel rafforzamento degli organici e nella diffusione di pratiche di prevenzione e di supporto psicologico che riducano l’insorgenza di episodi critici.

Inoltre, è importante diffondere una cultura che riconosca la contenzione come una misura estrema e temporanea, da adottare solo quando strettamente necessaria e sempre con l’obiettivo di ridurne durata e frequenza.

Infine, occorre sensibilizzare sull’importanza di valutare anche la contenzione farmacologica, spesso invisibile ma con potenziali effetti collaterali rilevanti, per adottare strategie terapeutiche più equilibrate e personalizzate.

Che messaggio vorrebbe lasciare ai professionisti della salute mentale e ai lettori interessati a questo tema?

Il mio invito è a riflettere con attenzione e umanità sulle pratiche di contenzione in psichiatria. Dobbiamo impegnarci per offrire ai pazienti ambienti più sicuri, accoglienti e rispettosi, in cui il disagio possa essere intercettato e gestito con strumenti di prevenzione e supporto.

La contenzione, soprattutto quella meccanica, dovrebbe essere sempre l’ultima risorsa, adottata solo dopo aver esaurito ogni altra possibilità. Parallelamente, è necessario vigilare sull’uso della contenzione farmacologica per evitare che diventi una forma di contenimento invisibile ma dannosa.

Solo attraverso un approccio integrato, multidisciplinare e centrato sulla persona potremo migliorare significativamente la qualità delle cure e la tutela dei diritti dei pazienti psichiatrici.

Ringraziamo Psychiatry Online Italia per averci fornito questo prezioso contributo e vi invitiamo a seguire il loro canale per approfondimenti su tematiche di grande attualità nel campo della psichiatria.

Link Fonti

SINPF 2025 INTERVISTE Virginio Salvi Sulla Contenzione

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