La domanda sul perché non si vedano nuovi psicofarmaci in arrivo è più complessa di quanto sembri. Sebbene non si possa dire che non esistano affatto, è indubbio che il numero di molecole innovative si sia drasticamente ridotto negli ultimi decenni.
Questo rallentamento ha radici profonde, che riguardano il modo in cui la ricerca si è evoluta e il rapporto con la clinica.
Dal periodo d’oro alla difficoltà attuale
Il periodo d’oro della scoperta di nuovi psicofarmaci va dagli anni ’50 fino ai primi anni 2000. In quegli anni abbiamo assistito a una crescita importante nella disponibilità di farmaci per trattare depressione, psicosi e altre condizioni psichiatriche. Tuttavia, negli ultimi vent’anni la situazione è cambiata drasticamente.
La ricerca di nuove molecole innovative si è fatta più complicata e meno fruttuosa. Questo non significa che non ci siano nuovi psicofarmaci in assoluto, ma che la quantità di novità si è fortemente ridotta. Il motivo principale di questa difficoltà, a mio avviso, è la perdita di un modello di ricerca che sia veramente aderente ai bisogni della clinica.
Il limite dei sistemi regolatori e il modello categoriale
I sistemi regolatori che autorizzano l’immissione in commercio di nuovi farmaci impongono ancora oggi regole rigide. Questi sistemi richiedono che un farmaco sia indicato per una specifica diagnosi psichiatrica categoriale, come la depressione o la psicosi. Questo modello, nato negli anni ’70 e ’80, funzionava quando si sapeva relativamente poco delle malattie psichiatriche.
Ad esempio, gli antidepressivi sono indicati per la depressione, gli antipsicotici per le psicosi. Questo approccio sembrava sufficiente per identificare e prescrivere farmaci efficaci. Oggi però sappiamo che queste diagnosi categoriali non rappresentano gruppi di pazienti omogenei, né dal punto di vista clinico né da quello patogenetico.
La complessità delle diagnosi psichiatriche
Una diagnosi di psicosi o di depressione non identifica una singola malattia, ma piuttosto un insieme di condizioni molto diverse tra loro. Non si tratta di pazienti con la stessa patogenesi o con sintomi uniformi. Questo rende lo studio di nuovi farmaci con target specifici estremamente complicato, perché si prova a curare con una sola molecola gruppi molto eterogenei.
Probabilmente dovremmo parlare di “gruppi di depressioni” o “gruppi di psicosi” e non di malattie uniche. Questa frammentazione rende difficile proporre innovazioni farmacologiche basate su un modello tradizionale di malattia e efficacia.
La necessità di sottogruppi e target più specifici
Per superare questa difficoltà, ciò di cui avremmo bisogno è identificare sottogruppi di pazienti non definiti da una diagnosi generale, ma accomunati da specifiche caratteristiche psicopatologiche o, meglio ancora, da target biologici molto più ristretti.
Questi sottogruppi potrebbero permettere di individuare meccanismi biochimici specifici e, di conseguenza, di sviluppare farmaci più mirati ed efficaci. Questi nuovi target sarebbero legati a dimensioni cliniche più precise e meno generiche, aprendo nuove strade per la ricerca farmacologica.
Il percorso virtuoso tra ricerca sperimentale e osservazione clinica
Alcuni sottogruppi sono già stati identificati, ma la sfida è creare un percorso virtuoso che parta dalla ricerca sperimentale e arrivi all’osservazione clinica.
Spesso sono proprio le osservazioni cliniche attente a scoprire effetti inattesi di farmaci già esistenti, aprendo nuovi campi di ricerca non legati all’indicazione primaria.
Questi effetti, anche se inizialmente accessori, possono diventare la base per lo sviluppo di nuovi psicofarmaci. Tuttavia, negli ultimi 20-30 anni questo meccanismo si è indebolito, e negli ultimi vent’anni è accaduto molto meno, con una conseguente riduzione dei finanziamenti alla ricerca innovativa in psichiatria.
Una questione di finanziamenti e priorità
La diminuzione dei finanziamenti alla ricerca è un problema serio. Non riguarda solo i clinici, ma soprattutto i pazienti. Infatti, esiste ancora una quota di pazienti, seppur minoritaria, che non risponde adeguatamente ai trattamenti disponibili.
Questi pazienti hanno bisogno di nuovi psicofarmaci, di terapie innovative che possano davvero cambiare la loro qualità di vita. La ricerca deve quindi essere sostenuta e rilanciata, per non lasciare indietro chi non trova beneficio con i farmaci attuali.
Il futuro dei nuovi psicofarmaci
L’auspicio è che si possa modificare il sistema regolatorio per permettere una ricerca più aderente ai bisogni clinici reali. Questo significa superare il modello categoriale rigido e aprire la strada a studi che considerino la complessità e l’eterogeneità delle malattie psichiatriche.
Solo così potremo sperare di vedere una nuova generazione di psicofarmaci, più efficaci e mirati, capaci di rispondere alle esigenze di tutti i pazienti. Il cammino è difficile, ma necessario per il progresso della psichiatria e per il benessere di chi soffre.
Conclusione
In sintesi, la mancanza di nuovi psicofarmaci non è dovuta a una totale assenza di ricerca o innovazione, ma a un sistema che fatica a evolversi insieme alla conoscenza clinica e biologica. La rigidità dei sistemi regolatori e il modello categoriale di diagnosi limitano la scoperta di molecole innovative.
Per superare queste sfide bisogna identificare sottogruppi di pazienti più omogenei e target biologici più specifici, sostenendo la ricerca con investimenti adeguati. Solo così potremo rilanciare la ricerca e rispondere ai bisogni di quei pazienti che oggi non trovano risposte efficaci nei farmaci disponibili.
Il futuro dei nuovi psicofarmaci dipende dalla nostra capacità di innovare, osservare e adattare la ricerca ai reali bisogni della clinica. È una sfida che vale la pena affrontare con determinazione.
Link Fonti
SINPF 2025 INTERVISTE Marco Vaggi Perchè non ci sono nuovi psicofarmaci