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 › Patologie › Strategie di coping disfunzionali: come riconoscerle – StateofMind.it

Strategie di coping disfunzionali: come riconoscerle – StateofMind.it

Redazione Aprile 24, 2019     No Comment    

Strategie di coping

Strategie di coping

Compiacenza, sottomissione, perfezionismo, idealizzazione, evitamento, vuoto devitalizzato. Ruminazione. Utilizzo di droghe. Può sembrare un elenco di parole messe in fila, così, a caso, ma in realtà ci portano ad un aspetto molto importante della psicopatologia. I coping! No, non è un’altra ennesima parola della lista. Quello che accomuna questi termini è che sono tutte strategie di coping e svolgono una funzione specifica, di difesa e di protezione, per essere precisi.

I coping sono utili?

Aiutano o, meglio, sembrano aiutare a tenere sotto controllo il dolore emotivo che emerge in alcuni tipi di interazioni con gli altri. Per dirla nella lingua della terapia metacognitiva interpersonale (Dimaggio et al., 2013) le strategie di coping sono un tentativo di gestione dell’attivazione dello schema maladattivo interpersonale. Facciamo degli esempi?

Il capo non mi apprezza nonostante gli enormi sacrifici dell’ultimo periodo. Per la precisione, mi ignora. Mi sento un fallimento e provo una certa quota di vergogna e tristezza. A questo punto, mi impegno ancora di più, lavorando in modo eccessivo, di notte, di domenica, nonostante sia pieno agosto e tutti gli amici stiano al mare. Mi sembra che questo non sia un peso per me, anzi, mi piace perché quasi quasi mi fa sentire vitalizzata. Ma il timore dell’errore, la paura di risultare un fallimento agli occhi dell’altro, sono spariti?

Altro scenario a partire da un altro wish: questa volta vorrei sentirmi parte del gruppo di colleghi. Ogni martedì escono a cena insieme ma io li evito sistematicamente. La sola idea di stare lì e non sentirmi integrata, vedermi sola e percepirmi perfino diversa mi costringe a scegliere di non andare. Per un po’ sto meglio perché non provo più ansia ma il martedì successivo, sarò pronta ad andare a cena? Beh, non lo so, ma sono certa che ci ruminerò su nei giorni a venire, nella speranza di giungere ad una decisione.

Vediamone un altro. Wish: autonomia. Finalmente credo sia importante per me andare via di casa. Nel momento stesso in cui lo pianifico già sento la voce di mamma che mi dice che non ce la potrò mai fare ma soprattutto che non ce la farà lei senza di me. Senso di colpa. Quanto è semplice passare le ore a ruminare su questo mio stato interno? Vado o non vado? Le propongo di venire con me? Forse è meglio rinunciare, sì, da sola non ce la posso fare e non prendo più quell’appartamento, per il momento è meglio soprassedere. Ma come la mettiamo con quel viaggio all’estero di 10 giorni il prossimo mese?

Quello che accomuna questi esempi è che partono da un wish sano di esplorazione, di ricerca di apprezzamento, di inclusione ed esitano in comportamenti che sembrano proteggere temporaneamente dal dolore che, invece, riapparirà appena possibile e, in certe occasioni, ancora più forte di prima.

Coping: ad ogni patologia le sue strategie

Per essere precisi, le strategie di coping non sono soltanto comportamentali perché molti di essi sono cognitivi, e vanno distinti in perseverativi attivanti oppure disattivanti (PCCS-Perseverative Cognitive Coping Strategies). La ruminazione, ad esempio è molto comune nei vissuti dei nostri pazienti (ammettiamolo, anche nei nostri) così come il worry: sono rispettivamente pensieri persistenti sul passato e sul futuro. Ci si può anche focalizzare sul presente, non me ne voglia il momento contingente.

Questi tentativi di autoregolazione amplificano la durata e la pervasività delle emozioni, a volte i pazienti riferiscono un vero e proprio affaticamento cognitivo quando si rendono conto del tempo e delle energie che vi investono. I pazienti con depressione ruminano e tanto, i pazienti con attacchi di panico si perdono negli evitamenti di molte situazioni, i pazienti ipocondriaci monitorano costantemente il loro corpo e così via. Nei disturbi di personalità il focus è sulla relazione con gli altri ma il processo è il medesimo. Ad esempio non è raro il monitoraggio della relazione oppure il gap filling, cioè il tornare sui dettagli minuziosi di un momento vissuto nel tentativo di captare un significato, un elemento che avrebbe potuto fare andare le cose diversamente.

Strategie di coping disfunzionali: come, quando, perchè trattarle in terapia

Perché al clinico dovrebbe sempre interessare il lavoro sulle strategie di coping?

Nella fase di condivisione del funzionamento, per il paziente è fondamentale notare che si affanna in comportamenti o in ruminazioni cognitive disfunzionali. Oltre alla condivisione dello schema maladattivo interpersonale, perciò, dobbiamo restituire l’idea che le strategie di coping vanno smussate, eliminate e sostituite, sempre in un’ottica validante anche perché, queste strategie di coping possono attivare dei cicli interpersonali problematici: se io non vado mai a cena è normale che dopo un po’ nessuno me lo chiederà più e se le mie amiche notano che disprezzo ogni aspetto delle loro vite, è normale che non mi racconteranno più niente, se mi va bene, perché i risvolti potrebbero anche essere peggiori. Quindi se l’obiettivo è gestire uno stato mentale ed emotivo problematico, ma questo non accade, aumenterà la sofferenza ed in alcuni casi la sintomatologia e, a questo punto, il paziente deve rivedere la sua procedura, spesso automatica ed inconsapevole, e deve sviluppare delle nuove strategie adattive di autoregolazione.

Rinunciare ai coping può essere davvero molto difficile. Alcuni sono così radicati nella storia di vita che sembra impensabile farne a meno ma ad oggi sappiamo che è bene lavorarci fin dalle prime fasi della terapia, grazie alla condivisione del contratto terapeutico, per capire cosa è possibile fare e in che momenti, soprattutto quando alcuni di essi limitano di molto la terapia stessa. Pensiamo, ad esempio, a quei pazienti che arrivano in seduta dopo aver fatto uso di sostanze. Per questi interventi così precoci, è essenziale che vi sia una buona alleanza terapeutica. Anche le PCCS sono oggetto di intervento precoce in quanto rappresentano la base delle strategie di coping di tipo comportamentale quasi come se fossero ordinate gerarchicamente (Ottavi et al., 2017) e questo spiega perché talvolta chiedere al paziente di rinunciare ad esempio alla sbronza serale non funziona perché bisogna identificare il coping cognitivo che lo precede ed in un certo modo lo prepara.

Grazie ai vari step della terapia metacognitiva interpersonale, e grazie allo sviluppo di strategie di mastery sempre più sofisticate, il paziente potrà gestire l’attivazione dello schema ed il dolore che ne segue in modi diversi. Giusto per dare qualche spunto di riflessione, la mindfulness aiuta a non indugiare troppo a lungo sui pensieri ricorrenti e a non considerarli come dati di realtà assoluta. Si suggerisce, comunque, di utilizzare la mindfulness dopo che il paziente sia stato reso consapevole dei suoi schemi e di come essi fanno soffrire nella loro natura rappresentazionale: gli eventi, quindi possono essere osservati da una posizione decentrata. Oltre al classico MBCT, citiamo il MIMBT (Metacognitive Interpersonal Mindfulness-Based Training), un training metacognitivo basato sulla mindfulness, della durata di 9 incontri settimanali, che aiuta a rivolgere attenzione alle relazioni interpersonali e soprattutto a riconoscere in tempo reale l’attivazione di emozioni negative per gestirle in modo più funzionale (Ottavi et al., 2019) ed infine come non citare tutte le tecniche wellsiane che fanno capo alla terapia metacognitiva per i disturbi di ansia e della depressione (Wells, 2012)

Patologie
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