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Psicoterapia Cognitivo Comportamentale: facciamo chiarezza
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (PCC) è ormai da anni l’approccio psicoterapeutico di prima scelta per i professionisti della salute mentale, come ci spiega in questo approfondimento la dott.ssa Laura Caccico di IPSICO, Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva di Firenze .
Nonostante ciò, è ancora ampiamente diffusa tra i non addetti ai lavori l’idea riduttiva che la psicoterapia significhi solo “fare psicanalisi” o “farsi psicanalizzare”, con tutte le implicazioni che questi definizioni portano con sé (la lunghissima durata, un lavoro esclusivamente sul proprio passato, l’uso del lettino, ecc.). L’obiettivo di questo articolo è quello di fare un po’ di chiarezza e un breve riassunto su cosa significa seguire un percorso terapeutico cognitivo comportamentale: la sua storia, le sue evoluzioni, le evidenze scientifiche che da sempre lo supportano e i possibili sviluppi futuri, in modo tale da aiutare l’utente ad orientarsi con più consapevolezza nel momento del bisogno.
Cos’è la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale è un approccio centrato sui sintomi e sulla risoluzione dei problemi psicologici concreti. Offre strumenti pratici per promuovere il benessere della persona e per aiutare a modificare o accettare il modo di pensare, agire o di vivere le emozioni. Le abilità apprese aiutano a sentirsi meglio e continueranno ad avere valore nella vita dell’individuo, anche molto tempo dopo che i problemi del presente avranno cessato di esistere.
Rimanendo inizialmente ancorata al presente, sui problemi attuali e sulle specifiche situazioni dolorose, può successivamente orientarsi verso il futuro sia in termini di valori a cui il paziente aspira (“cosa voglio dalla vita e cosa per me è importante”), sia per la prevenzione delle ricadute. Dove la sintomatologia e la gravità del problema presentato sono relativamente semplici la durata dell’intervento è breve (dai 6 mesi a un anno), in quanto il terapeuta mira ad alleviare i sintomi, risolvere i problemi, facilitare la remissione del disturbo e come già accennato prevenire le ricadute. Solitamente la PCC prevede sedute a cadenza settimanale, ma bisogna comunque tenere presente che la frequenza e lunghezza del percorso variano in base alla gravità del problema.
È una terapia che si definisce orientata allo scopo, in quanto terapeuta e paziente concordano gli obiettivi da raggiungere, che vengono periodicamente verificati. Quindi viene enfatizzata la partecipazione attiva e la collaborazione da parte dell’individuo che vi accede, non solo per identificare obiettivi specifici, ma anche nel suggerire su cosa lavorare in seduta, su cosa può fare da solo a casa e di volta in volta riassumere il lavoro precedentemente svolto. Tutti questi aspetti sono frutto di un’evoluzione che dura da quasi un secolo e che tutt’ora, grazie anche alla ricerca scientifica, perdura.
Breve storia della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
In effetti, le origini della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale risalgono agli anni 50’, quando la necessità di ribellarsi alle teorizzazioni cliniche dell’approccio psicanalitico, che aveva dimostrato tutti i suoi limiti di fronte ai cambiamenti sociali e alle nuove richieste di cura, portò i primi terapeuti del comportamento a muoversi verso nuove tecniche e procedure terapeutiche, analizzate scientificamente, il cui focus era la riduzione dei comportamenti problematici manifesti. Nel caso, ad esempio, di un individuo con una fobia specifica l’esposizione prolungata e graduale all’oggetto fobico (ad esempio un ragno) diventava l’obiettivo del trattamento e permetteva di ridurre l’ansia.
L’evento che segnò il passaggio alla cosiddetta “seconda generazione” della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale fu l’incontro e la successiva fusione tra la Terapia del Comportamento e la Terapia Cognitiva. Quest’ultima, durante gli anni 60’, identificava le cognizioni disfunzionali alla base dei disturbi psicologici e psichiatrici (in particolare ansia e depressione), suggerendo che individuare queste credenze errate e proponendone di alternative, potesse generare una diminuzione dei sintomi associata a questi disturbi. Proprio l’incontro di questi due approcci terapeutici ha permesso un’ulteriore sviluppo delle cure psicologiche e psichiatriche, in quanto nacque la Terapia Cognitivo Comportamentale standard così come la intendiamo ora: una serie di interventi basati sul complesso rapporto tra situazioni, pensieri, emozioni e comportamenti, che sono volti alla modificazione delle cognizioni, comportamenti, aspettative del soggetto. Nello specifico l’idea centrale della PCC postula che sia la nostra percezione di un evento o di un’esperienza a influenzare enormemente le nostre risposte emotive, comportamentali e fisiologiche. Non è la situazione in se stessa che determina ciò che le persone provano e come si comportano, ma piuttosto il modo in cui esse interpretano tale situazione. Se prendiamo l’esempio precedente, chi soffre di una fobia specifica per i ragni tenderà ad interpretare la vista di questo animale come qualcosa di minaccioso e terribile perché è negativamente influenzato da particolari forme di errato ragionamento (catastrofico).
Negli ultimi 20 anni i limiti di questo approccio (troppo meccanicistico), hanno permesso ai clinici e ricercatori di evolvere nuovamente verso nuove teorizzazioni, dimostrando l’apertura e lo stretto legame tra laboratorio scientifico e ambulatorio di questo approccio. Un aspetto originale di questo cambiamento generazionale è il fatto che la spinta verso la terza generazione (o terza onda) di interventi provenga da entrambe le ali della PCC, la più comportamentale e la più cognitiva. Tra gli interventi cognitivo comportamentali di terza generazione possiamo ricordare l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Dialectical Behavior Therapy (DBT), la Functional Analytic Psychoterapy (FAP), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), gli approcci meta-cognitivi di Wells.
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale oggi
Nella Psicoterapia Cognitivo Comportamentale di terza generazione il focus si sposta dal lavoro diretto sui contenuti del pensiero e la loro modificazione, alla relazione che i pazienti hanno con le emozioni, i pensieri e le sensazioni fisiologiche e sull’empowement della persona, che viene aiutata attivamente a vivere la vita secondo i propri valori, conseguendo ciò che viene definito “flessibilità psicologica”. Con il termine flessibilità psicologica si intende il pieno contatto con il momento presente come essere umano consapevole e la capacità, basandosi su quanto la situazione permette, di cambiare o persistere in comportamenti che perseguano i valori che ciascuno ha scelto come importanti. Per perseguire questo obiettivo cardine, gli interventi psicologici usano strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento. Sarà proprio questo atteggiamento volto al momento presente, di apertura verso le proprie esperienze interne (positive o negative che siano), che permetterà la libera scelta e il perseguimento dei propri valori personali utili al vivere appieno la propria vita.
Infine, è bene nuovamente sottolineare che uno dei punti di forza della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale riguarda il fatto che, come le altre scienze (biologia, fisica, medicina), è evoluta assimilando i progressi della ricerca: infatti, essa vanta un’ampia mole di evidenze scientifiche in merito all’efficacia e al processo, ossia cosa realmente funziona e come. Ci basti pensare che dai dati di ricerca è emerso che la PCC ottiene migliori risultati rispetto al trattamento con antidepressivi nella depressione negli adulti e sicuramente è più utile nel prevenire le ricadute. Inoltre, ha comprovata efficacia per la maggior parte dei disturbi psichiatrici e psicologici come il disturbo ossessivo compulsivo, i disturbi dell’alimentazione, i disturbi d’ansia, i disturbi post-traumatici, il controllo della rabbia ecc. E’ stata anche utilizzata per numerosi problemi medici con componenti psicologiche tra cui la sindrome da affaticamento cronico, dolori reumatici, disfunzione erettile, insonnia, obesità. Inoltre la sua efficacia è stata comprovata per pazienti con differenti livelli di istruzione, reddito e stato sociale.
Ancora oggi, proprio come Beck (il padre della Terapia Cognitiva) aveva iniziato a fare con la depressione e l’ansia, il terapeuta competente di approccio Cognitivo Comportamentale conosce e apprezza i principi di adesione ai trattamenti ben definiti ed evidence-based. Riconosce però, che gli approcci generali standardizzati devono essere costruiti a misura dell’individuo e che i cambiamenti sociali in atto influenzano le richieste di cura; le conseguenti strategie di intervento devono rispondere ai bisogni del tempo corrente. Stiamo infatti per assistere all’inizio di una rivoluzione che cambierà la forma delle modalità della pratica clinica nel panorama della salute mentale nei prossimi due decenni, anche se i semi stavano germogliando in modi e contesti diversi da ormai 30 anni. Alcuni esempi degli approcci che andranno a svilupparsi nell’immediato futuro sono gli interventi tramite internet, le terapie supportate da tecnologie specifiche come ad esempio la Realtà Virtuale, i trattamenti di gruppo, i libri di self-help, le terapia con sessioni meno frequenti e più brevi (30 minuti).
Questi trattamenti definiti “a bassa intensità” sono stati sviluppati principalmente per disturbi psicologici lievi o moderati e sono la risposta nel panorama dei trattamenti psicologici efficaci evidence-based il cui scopo primario è aumentare l’accesso alle terapie psicologiche così da promuovere la salute mentale e il benessere della comunità, usando il livello minimo di intervento necessario per ottenere il massimo risultato.