
Paternità
La paternità è un passaggio particolarmente delicato. Si è travolti da un turbinio di emozioni e nuove responsabilità da gestire. Comporta cambiamenti profondi, e implica nuovi equilibri da cercare ma non sempre facili da trovare. E così il rischio di “barcollare” è in agguato: l’umore può andare su e giù, come sulle montagne russe, anche quella dei papà.
Seppur meno studiata, anche i papà infatti possono fare i conti con la depressione post-partum: alcuni studi, per esempio, mettono in luce che più del 4% dei neopapà sviluppa questo tipo di disturbo, che, oltre a destabilizzare l’esperienza della paternità, può inficiare la relazione padre-bambino. E anche quello con la compagna.
Insomma, la depressione post partum non è un’esclusiva femminile. “Anche gli uomini possono accusare i sintomi classici” scrive Roberto Fumagalli, che coordina i servizi sociali del Comune di Valmadrera, “Ansia e senso di colpevolezza immotivati, paura, panico, senso di inadeguatezza e inefficacia rispetto a ciò che accade, insonnia, crisi di pianto, pensieri autodistruttivi. Ma se la depressione post-partum delle madri si fonda almeno in parte su cause naturali – come le brusche alterazioni ormonali successive al parto – le ragioni della depressione da paternità sembrano provocate solo da fattori culturali”.
La prova della paternità oggi: uscire dagli stereotipi
Si parla sempre più spesso di nuova paternità. Padri lontani dal “modello di ottocentesca memoria” di genitore estraneo ai sentimenti, non coinvolto emotivamente, il cui compito principale è assicurare il sostentamento della famiglia, dando assoluta priorità al lavoro a discapito della relazione affettiva.
È in corso infatti una profonda ridefinizione dell’identità paterna, in bilico tra tradizione e innovazione. “Negli ultimi cinquant’anni – scrive Fumagalli – in Italia il modello di paternità è ciò che più si è trasformato nell’identità maschile e questo sta provocando incertezza riguardo a cosa deve essere considerato virile”. Come se un padre accudente fosse meno uomo. Del resto, citando la sociologa Chiara Saraceno, Fumagalli sottolinea come ancora oggi, un papà che si prende cura dei figli turba più di una donna che lavora. Ah, il peso degli stereotipi!
E in quest’ottica, sostiene di non poter affermare con certezza “che la maggior parte delle depressioni post-partum paterne siano il risultato del nuovo modo di esperire la paternità, ma è ragionevole pensare che tale processo di cambiamento si connetta con tali patologie”.
Paternità e depressione
Seppur da meno tempo rispetto a quella delle neomamme, anche la vulnerabilità psicologica dei neopapà è sotto la lente dei ricercatori e delle ricercatrici che esplorano il fenomeno della depressione nel periodo compreso tra la gravidanza e il primo anno di vita del bambino.
Quando a soffrirne sono i papà, sembra che i sintomi siano meno gravi rispetto a quella materna: si parla comunque di un mix di irrequietezza, agitazione, nervosismo, tristezza, sconforto, melanconia, irritabilità, preoccupazione sulla salute della compagna e del bambino, insonnia, difficoltà nella concentrazione, stato di impotenza o disperazione, sconforto e disturbi psicosomatici.
I più vulnerabili sembrerebbero coloro che hanno già una storia personale di depressione o hanno manifestato sintomi di ansietà durante la gravidanza, che hanno accanto una compagna dallo stato d’animo depresso (sia prima che dopo il periodo post-partum), e vivono una relazione di coppia ad alto livello di stress.
Alcuni studi evidenziano infatti un forte legame tra depressione post parto materna e paterna. Legame reciproco, perché non solo il neopapà è più vulnerabile a disturbi dell’umore se a sua volta ne soffre la partner, ma anche lo stato emotivo della neomamma risente dell’aver accanto un papà troppo preoccupato, emotivo, depresso che di conseguenza non riesce ad offrire quella base sicura.
A quanto pare insomma “nel periodo perinatale gli stati mentali di madri e padri sono significativamente correlati e anche i padri possono soffrire di disturbi affettivi perinatali con una frequenza che nel mondo varia da 2 al 31% con una media del 10.4% nel 2010” spiega Franco Baldoni, psicoanalista e professore associato di psicologia clinica all’Università di Bologna. La manifestazione di disturbi depressivi, ansiosi e comportamentali, o di uno stile di attaccamento insicuro in risposta alla recente paternità, sembra favorire una reazione depressiva nella madre e influenzare negativamente l’attaccamento e lo sviluppo del figlio.
Durante il periodo perinatale gli stati emotivi di madri e padri si influenzano reciprocamente ed è stata dimostrata una correlazione significativa tra disturbi depressivi perinatali paterni e materni. In altre parole, quando un genitore risulta depresso, bisogna considerare attentamente la possibilità che anche l’altro soffra di disturbi dell’umore
“D’altro canto però non si può escludere (e alcuni studi lo confermano) che il disagio dei padri possa emergere anche indipendentemente da quello delle mamme” aggiunge Sara Molgora, ricercatrice e docente al Dipartimento di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Da una nostra ricerca, in cui abbiamo seguito 126 mamme e 126 papà dalla gravidanza fino ai 12 mesi del bambino/a e confrontato il loro adattamento al ruolo di genitore, abbiamo riscontrato che possono cadere nel vortice della depressione anche quei papà che hanno vissuto serenamente la gravidanza. In particolare abbiamo osservato che i sintomi depressivi emergono per lo più non nell’immediato post partum, ma via via che il figlio/a cresce e si allenta quella relazione simbiotica mamma-bambino ma il papà ha difficoltà a inserirsi in modo armonico in questa diade. A volte – continua la ricercatrice – la manifestazione del disagio coincide con il rientro a pieno regime della mamma nel mondo del lavoro, che comporta una significativa riorganizzazione della vita familiare”.
In altre parole, il conflitto famiglia-lavoro, il dover gestire due mondi crea disequilibri e una situazione di potenziale malessere, soprattutto nelle donne, ma non solo. “La paternità depressa – spiega ancora Molgara – si riconosce anche dall’apatia e da uno scarso coinvolgimento emotivo nella relazione con il bambino. Ma dobbiamo fare attenzione a non voler misurare il malessere maschile sui sintomi tipici femminili: perché questo può portare a sottostimare i tassi di depressione maschile”.
Un aiuto durante la paternità
Per affrontare al meglio la transizione da coppia a genitori, e nello specifico quella verso la paternità, il consiglio è riconoscere l’importanza anche del padre sin dall’inizio della gravidanza, promuovendo il suo coinvolgimento nelle visite ginecologiche, nelle attività di consultorio familiare e nell’assistenza per tutto l’anno successivo al parto sostenendolo nel suo ruolo.
Con la nascita di un figlio, tutto cambia, dagli orari interni alla famiglia all’organizzazione relazionale sia di coppia che con la famiglia estesa. E inevitabilmente anche l’uomo va incontro a una ridefinizione del sé: passaggio che andrebbe sostenuto per fronteggiare tempestivamente eventuali difficoltà che, accanto alla gioia, possono pervadere la paternità. Si tratta principalmente – scrivono Marco Inghilleri e Alessandra Andrisani in “Diventare padri nel terzo millennio” – di difficoltà connesse alla responsabilità di una nuova vita, che può far scaturire sensi di inadeguatezza. Sono anche paure del cambiamento, ansie di invischiamento, gelosie nei confronti della compagna o difficoltà legate all’assunzione di un nuovo e complesso ruolo che va lasciandosi alle spalle la leggerezza della giovane età. L’uomo di oggi sta facendo passi da gigante nel proprio modo di vivere la paternità e diventare padre, vincendo l’atavica ritrosia a prendere contatto con i propri sentimenti ed emozioni.”
Inoltre, dato che i disturbi depressivi post partum sono spesso accompagnati da una crisi di coppia, è opportuno fornire ai due partner la possibilità di discutere dei loro problemi aiutandoli a migliorare la propria relazione. Pertanto medici, ostetriche, psicologi, personale infermieristico del reparto ostetrico-ginecologico e dei servizi territoriali (consultori familiari) dovrebbero essere preparati a considerare la salute di entrambi i genitori in tutto il periodo perinatale e a riconoscere i segni precoci di un disturbo affettivo, per intercettare situazioni a rischio.
A tal fine possono essere organizzati seminari e corsi di formazione specifici, “come stanno facendo già facendo alcuni centri per incontrare le coppie in attesa e seguirle lungo il percorso della gravidanza in modo da poter individuare tempestivamente eventuali segnali di disagio e malessere, anche se lievi. Perché se non trattati possono evolvere in una sintomatologia più importante” sottolinea Molgora.
Nei casi in cui il papà presenti una sofferenza significativa è necessario invitarlo a rivolgersi a uno specialista per un sostegno individuale (che consenta di ridurre la sintomatologia depressiva e ansiosa, la preoccupazione ipocondriaca e le difficoltà relazionali), di coppia o di famiglia, integrato eventualmente con un trattamento farmacologico.