PAVIA. «Le azioni virtuose fatte dalle associazioni e dal Comune sono ottime, ma non bastano per contrastare il gioco d’azzardo. Bisogna condividere tra tutti i sistemi virtuosi per costruire una rete che agisca non solo sui giocatori patologici, ma su tutta quella zona grigia in cui si installa la patologia». A dirlo è Gabrile Zanardi del dipartimento di Sanità pubblica-Medicina sperimentale dell’università. Sarà lui uno dei protagonisti della due giorni di confronto nell’aula magna dell’ateneo sul gioco d’azzardo patologico al via oggi.Il fenomeno delle ludopatie è in aumento?«Purtroppo non abbiamo dati verificati. Certo è preoccupante, ma gli unici dati che abbiamo ci provengono dalle singole realtà che se ne occupano: Asl, Sert e volontariato. Non c’è uno studio clinico validato, molti sportelli di ascolto non hanno operatori formati per raccogliere i dati e per classificare le diverse tipologie di malati d’azzardo».Qual è il punto di non ritorno tra un gioco per divertimento e una patologia?«Difficile a dire se uno che gioca 4 Gratta e Vinci a settimane è un giocatore ludico o patologico. Non è solo il numero delle giocate a definire la patologia: ci sono alcuni che giocano molto perchè depressi e lo vivono come uno svago. Ci sono vedove assidue frequentatrici del Bingo ma più per socializzare che per giocare. E poi ci sono persone nella fascia grigia che non sono compromesse ma hanno invece comportamenti davvero compulsivi. Proprio per queste diverse tipologie dobbiamo dare elementi per capire la vulnerabilità del gioco nelle persone e arrivare così a dare risposte efficaci».I giocatori patologici negano la malattia e i familiari se ne accorgono troppo tardi?«Putroppo si innesca un processo a cascata. Prima si provoca un buco economico con il gioco, poi per non farsi scoprire si chiede un finanziamento e per coprirlo si continuano a chiederne altri fino al crack. A quel punto il fenomeno è talmente radicato da diventare un dramma con tante vittime collaterali perchè le difficoltà del singolo diventano familiari e sociali».Perchè a Pavia l’incidenza del gioco è così alta?«Per disponibilità economica e per diffusione delle slot, e per condizioni ambientali. Se avessimo un tessuto sociale ricco, il problema sarebbe meno grave. C’è un esperimento sui ratti che spiega bene il fenomeno. I topi in una gabbia fornita di acqua pura e di acqua con cocaina, bevono sempre la seconda, ma se nella stessa gabbia si mettono dei giochi per topi questi ultimi smettono di bere l’acqua drogata. Lo stesso accade nelle comunità. Ed è per questo che l’intervento contro le ludopatie deve essere articolato affinchè il soggetto abbia stimoli e diventi meno dipendente».Lei propone di fare rete ma con chi e come?«Con i tanti volontari che si occupano del fenomeno, oltre a Sert e Asl, ma con il Comune a fare da regia. Poi formare gli operatori e informare non solo gli addetti ai lavori, ma tutti: dagli esercenti agli impiegati di banca. Ci vuole una metodologia condivisa. Servono azioni dirette come la limitazione degli orari e dellelocalizzazione delle slot, ma ci vogliono anche reti socialmente coinvolgenti che aiutino a dare alternative al gioco. Infine ci vuole innovazione, ci sono app su telefonino che negli Usa frenano il 12% delle persone con dipendenze. E’ un progetto ambizioso e oneroso, ma è ciò che serve» .