La prima buona notizia sulla malattia di Alzheimer (AD), anche se non riguarda cause e cure della demenza: dati epistemologici e statistici da varie parti del mondo raccolti con rigore e con metodologie universalmente accettate, sembrano indicare non l’aumento, come si prevedeva fino ad ora, ma la riduzione del rischio dell’AD.
I nuovi dati potrebbero indicare fattori di rischio e corroborare l’efficacia di misure preventive. Uno studio epidemiologico in Spagna, Olanda, Regno Unito e Svezia (Lancet Neurol. online il 21 agosto 2015) ha mostrato che nel Regno Unito e in Spagna l’incidenza di AD è diminuita, nelle ultime generazioni, del 22% e del 43% e negli altri due paesi é stabile. In Inghilterra nel 2015 i colpiti da AD sono stati 210mila anziché 250mila, come previsto secondo l’andamento degli ultimi decenni (Nature Communications 19 aprile 2016). Uno studio della Boston Univ. School of Medicine (N.Engl. J. Med. 374, 507-509, 2016; 374,523-532,2016) comunica dati analoghi, sia da regioni con prevalenza di abitanti caucasici che di afroamericani: di 5.200 persone seguite dal 1975, dopo che avevano superato i 60 anni, 380 erano ammalate di AD entro il 2008: all’inizio 36 persone su mille all’anno, negli anni successivi 20 su mille, con un aumento dell’età media dei primi deficit mentali da 80 a 85 anni.
In molte regioni, il rischio di ammalarsi di AD sembra ridursi della metà. Grazie a che cosa, se non ne si conosce la causa? Un dato rilevante riguarda le malattie cardio-vascolari: la loro frequenza e mortalità, nelle stesse regioni dell’AD, nell’ultimo mezzo secolo sono regre-dite, negli Stati Uniti, ad esempio, di circa il 50%. Non è inverosimile che il mantenimento di una buona circolazione del sangue contribuisca alla buona salute del cervello. Ciò potrebbe non necessariamente incidere sul rischio di AD, ma piuttosto diminuire il numero della seconda causa di demenza dopo l’AD, la forma arteriosclerotica, difficile da distinguere dall’AD nella fase iniziale, identica negli stadi avanzati.
L’altro dato rilevante è il basso, in alcune regioni bassissimo, numero di ammalati di AD fra laureati, di-plomati e persone con attività intellettuale rilevante, anche se le eccezioni non mancano, specie fra gli obesi e i diabetici. È verosimile che la persona istruita e benestante curi e prevenga disturbi circolatori con maggior attenzione e disciplina. Esercizio fisico, niente fumo, poco alcol, dieta sana, normale colesterolo nel sangue, peso corporeo nei limiti, controllo della pressione arteriosa, cura della depressione e dell’eventuale diabete sono raccomandazioni valide per prevenire tutti i malanni, e quindi anche l’AD (Lancet Neurol. 13,788-794,2014). È intuitivo che la persona istruita le tenga in considerazione e le pratichi con maggior disciplina. L’attività intellettuale é considerata da alcuni gerontologi la ginnastica dei neuroni per tenerli attivi il più a lungo possibile. Difficile provarlo, specie a cospetto delle grandi menti finite nel tunnel della demenza.
Gli autori degli studi epidemiologici ammoniscono che l’ottimismo – seppur giustificato – può essere solo molto cauto. Il numero delle persone colpite continua comunque a crescere, anche se meno di un tempo, per l’aumento della popolazione oltre gli 85 anni: fino ad ora un aumento medio della durata della vita di 6 anni e tre mesi ha raddoppiato il numero degli ammalati. Anche se il rischio di ammalare sembra diminuito del 20% in ogni gruppo d’età di 10 anni, un aumento di 4 volte il numero attuale nei prossimi decenni è consi-derato ancora probabile (Alzheimer’s & Dementia 7,80-93,2011). Dati epistemologici di questa natura sono ardui da interpretare, per la difficoltà di tener conto di tutto ciò che può influenzare le condizioni di salute di vaste popolazioni per anni e decenni. Inoltre si presuppone che casi di AD, specie in comunità rurali, non siano registrati.
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