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 › Cannabis THC › La scienza ignorata nel parlare di cannabis | Commenti | www … – Avvenire.it

La scienza ignorata nel parlare di cannabis | Commenti | www … – Avvenire.it

Redazione Luglio 20, 2015     No Comment    

Circolano molti slogan (ingannevolmente libertari) e parecchie imprecisioni, nel dibattito aperto dalla proposta di legge di un nutrito gruppo di parlamentari per la liberalizzazione della produzione e del possesso per uso personale della cannabis. E vengono sostanzialmente ignorate le certezze scientifiche. Che invece esistono e sono, anzi, diventate più consistenti proprio grazie a numerosi studi effettuati in questi ultimi anni. Si tratta di dati certi desunti della ricerca medica, che non possono essere interpretati arbitrariamente né costituire opinabile oggetto di discussione.

Il consumo protratto nel tempo di marijuana induce modificazioni permanenti di alcune aree cerebrali e aumenta il rischio di infarto cardiaco, ma ora si sa che anche l’uso saltuario di cannabis può cambiare (negativamente) il cervello. Più precoce ne è l’uso, maggiori sono i danni. Le conseguenze più gravi e irreversibili si sviluppano nei soggetti che hanno iniziato a drogarsi nell’adolescenza, quando il cervello non ha ancora terminato il suo processo di maturazione biologica avviene attorno ai 20 anni), ma alterazioni encefaliche importanti si sviluppano anche in chi inizia ad assumere cannabis in età adulta. La risonanza magnetica ha mostrato come nei consumatori abituali vi è una diminuzione di volume della corteccia orbitofrontale associata a una variazione del numero di connessioni neuronali. E altre analisi hanno evidenziato come si sviluppi nel tempo la parabola delle modificazioni neurobiologiche funzionali cerebrali. A un iniziale impoverimento della rete di collegamento intracellulare subentra poi un aumento della connettività strutturale tra le sinapsi (i punti di contatto tra i neuroni) con lo scopo di supplire alla diminuzione di volume encefalico indotta dalla sostanza.

Queste variazioni rappresentano la risposta adattiva del cervello, che cerca in tal modo di far fronte con nuovi circuiti alla perdita di neuroni indotta dalla marijuana. Il consumo prolungato di cannabis produce anche una diminuzione delle capacità cognitive (concentrazione e memoria) del soggetto ed espone a un maggior rischio di patologie psichiatriche, in particolare schizofrenia e psicosi paranoidee. L’uso saltuario, sporadico od occasionale (limitato anche solo a due-tre volte al mese) può anch’esso indurre alterazioni cerebrali strutturali. L’amigdala e il nucleo accumbens, due strutture situate in profondità nel cervello e coinvolte nella gestione delle emozioni e nell’elaborazione delle spinte motivazionali, mostrano in questi soggetti un aumento di volume e di densità, espressioni di un cambiamento di forma dovuto alla creazione di nuovi circuiti neuronali. Queste modificazioni, simili a quelle evidenziate su aree più estese nei consumatori cronici, indicano che il cervello si sta adattando a un livello innaturale di stimolazione legato alla marijuana e preludono all’insorgenza di una vera dipendenza biologica. I circuiti cerebrali della ricompensa non sono più soddisfatti dalle sollecitazioni legate ai normali stimoli naturali (cibo, sesso, interazione sociale) come avviene nei soggetti sani, perché la quantità di dopamina (il messaggero chimico che ‘parla’ con questi circuiti) liberata da questi fattori è troppo scarsa e non è in grado di ‘saturare’ adeguatamente le nuove reti neuronali che si sono nel frattempo sviluppate. Solo una nuova assunzione di cannabis riesce a ‘soddisfare’ questa esigenza: il meccanismo biologico della dipendenza è avviato. Ecco perché l’uso della marijuana, creando questa disorganizzazione cerebrale, può rappresentare il primo passo verso l’assunzione di altre droghe.
 
Alla luce di questi dati, l’affermazione che ‘nessuno è mai morto di marijuana’ è fuorviante. Certo la cannabis non provoca di per sé overdose fatali, ma il suo uso può induce un aumento indiretto di mortalità, legato soprattutto al fatto che il rischio di incidenti automobilistici (anche mortali) per chi guida sotto il suo effetto è raddoppiato e aumenta ancora di più se si associa all’abuso di alcool. Legalizzare l’impiego della marijuana «per uso ricreativo» (?) non è una vittoria della libertà, come si vuole far credere, ma una sconfitta per tutti. In particolare per le generazioni future, che già oggi, per la prima volta nella storia, si trovano con un’attesa di salute minore di quella dei propri genitori.

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