
Caro Massimo,
ho 42 anni e convivo da otto con lui che non è mai stato una persona solare, ma che per molto tempo ho amato. All’alba dei 50 anni perde il lavoro e inizia a flirtare con la depressione, che rifiuta di curare. Situazione oggettivamente non facile, ma che peggiora se all’oggettività del problema si aggiunge un atteggiamento negativo, nonché allergico a qualsiasi autocritica. Ogni proposta che provo ad avanzare è inutile o impossibile, ogni problema diventa una tragedia. Mai un’idea, uno slancio. È colpa di tutti: del governo, della gente che se ne approfitta, dei clandestini, delle cavallette. Non è un uomo senza talenti: io credo che potrebbe fare, che potremmo fare insieme, se solo ci credesse un minimo, ma non c’è peggior sordo eccetera, e ormai so che non sarò io a farlo cambiare. Così, per non farmi travolgere, ho dovuto emotivamente prendere le distanze, dire in qualche modo: «Quello sei tu, non io». Massimo, io gli voglio bene ma sono stanca. C’è una persona che potenzialmente mi interessa, non la idealizzo, non ci faccio niente, però vorrei giusto essere libera di frequentarla per capire se nella mia vita ci può essere altro. Lo lascio in mezzo alla strada? Lo adotto a distanza? Il senso di colpa mi seppellirà, altro che una risata. —Super Trapped
Super Intrappolata, non pensi sia arrivato il momento di spalancare le porte della prigione? Ti accompagna il tifo di chiunque si senta incastrato dentro amori finiti che sopravvivono in un’atmosfera di affettuosità rarefatta, abbarbicati a un senso di colpa scambiato per senso di responsabilità. Il tuo uomo è materia per sondaggi. Incarna lo stato d’animo più diffuso nell’emisfero occidentale. L’atteggiamento che ci rese grandi – e che Bertrand Russell riassunse così: «Gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile e per questo la fecero» – è stato completamente ribaltato.
Adesso molti pensano che tutto sia diventato impossibile. Non credono più in niente e riducono la vita a un evento meccanico dominato da forze oscure e incontrollabili. L’amore che smuove le montagne è stato rinchiuso nell’armadio dei tabù, irriso e trasformato in un trastullo cinico. Anziché la passione, lo strumento per orientarsi è diventato il lamento. Si abita il mondo con la sensazione perenne di essere vittime di qualche complotto: del potere, dei colleghi, degli amici, persino di quelli più cari.
Ovviamente non nego gli sconquassi creati dalla crisi di sistema che sta cancellando il lavoro dalla lista delle certezze esistenziali. Né sto parlando dei malati che soffrono di una forma acuta di depressione, ai quali è giusto prestare ascolto e cura. Mi riferisco ai tanti sani che trovano più comodo arrendersi alle difficoltà, ostinandosi a inforcare gli occhiali del lamento perpetuo e sterile.
Ogni tanto ne faccio parte anch’io. Succede quando entro in una bolla di cupio dissolvi e comincio a vedere fantasmi laddove c’è soltanto la cruda verità della vita: nessuno ce l’ha con noi – non siamo così importanti – ma tutto accade secondo logiche abbastanza semplici e inesorabili che si possono dominare e in certi casi ribaltare, a patto che lo si voglia davvero, infondendo un’energia di luce. Mentre finora si è scelto di utilizzarne una cupa, fatta di rancore, di borbottii e sostanzialmente di resa, alla ricerca di un capro espiatorio su cui scaricare il proprio senso di fallimento, in politica come nella vita personale.
Per contrastare questo stato d’animo, tengo sempre a portata di mano la preghiera laica di George Bernard Shaw: «La missione di ogni uomo consiste nell’essere una forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché l’universo non si dedica a renderlo felice».
Quale pensi sia la tua missione? Certamente non quella di continuare a indossare la divisa della crocerossina. Non puoi salvarlo dalle sue paturnie. Mentre puoi aprire le porte della tua prigione per andare a esplorare quell’amore nascente da cui ti senti più incuriosita che attratta. Puoi salvare te stessa e forse, facendolo, finirai per salvare anche lui.