
Ippoterapia
Non è solo un formidabile compagno di passeggiate nel verde o un insostituibile partner di sport nel maneggio: il cavallo affianca fisioterapisti, medici esperti in riabilitazione, psicologi e neuropsichiatri, nell’ippoterapia per aiutare pazienti di ogni età e con varie problematiche, da blocchi emotivi e relazionali, come una eccessiva timidezza, a condizioni di disabilità fisiche anche gravi.
L’ippoterapia nella storia
L’ippoterapia risale alla Grecia antica. Ippocrate, il padre della medicina e autore dell’omonimo e celeberrimo giuramento medico, documenta questa pratica già nel 400 avanti Cristo, consigliando le cavalcate come un metodo per sconfiggere ansia e insonnia.
È dalla seconda metà del ’900, però, che il quadrupede inizia a essere utilizzato in Inghilterra, Francia e Scandinavia nei primi progetti di riabilitazione per bambini e adulti con deficit motori.
«In Italia la terapia assistita con il cavallo, questa la dicitura attuale per l’ippoterapia, viene impiegata in maniera ufficiale dagli anni Settanta del secolo scorso, con risultati significativi su alcune forme di autismo e sugli esiti delle paralisi cerebrali infantili», spiega Stefano Seripa, dirigente psichiatra presso la Asl Roma4 e componente della Commissione riabilitazione equestre della Fise (Federazione italiana sport equestri). «Negli ultimi anni varie ricerche scientifiche ne stanno dimostrando gli effetti positivi anche su altre patologie di tipo neurologico e neuropsichiatrico».
Ippoterapia: come funziona?
Ma perché il cavallo vanta queste virtù? Sembra ormai assodato che gli equini siano in grado di trasmettere e stimolare emozioni. Hanno una spiccata vocazione sociale e chiunque abbia preso le redini in mano sa come il cavallo sia estremamente reattivo agli stimoli. Un animale, insomma, non è una motocicletta: cavalcare implica una sintonia con un’altra creatura, che tornerà poi molto utile anche fuori dal maneggio. Oltre all’interazione con l’animale, pare che nell’ippoterapia giochi un ruolo anche il dondolio in sella, che rievoca le sensazioni piacevoli del grembo materno e della prima infanzia, quando si veniva cullati. Andare a cavallo significa infine vivere la natura, esperienza che si configura come un potente antistress.
Diversificati sono i tipi di cura possibili con l’animale. Ad esempio, l’ippoterapia (in cui il paziente prende contatto con l’animale, prima stando a terra e poi salendoci, ma senza conduzione autonoma, perché a questo penserà l’istruttore, detto coadiutore del cavallo) e la rieducazione equestre, in cui il paziente è attivo e impara ad andare a cavallo. Affinché queste attività risultino efficaci e gradevoli sia per il paziente sia per l’animale vanno coordinate da un’équipe multidisciplinare che integri personale qualificato quale: medico o psicoterapeuta responsabile del progetto, accompagnatore del paziente, tecnico conduttore dell’animale e veterinario.
Ippoterapia e rieducazione equestre: per cosa possono essere utili?
Nella forma «classica», la riabilitazione equestre prevede l’utilizzo del cavallo come se fosse una macchina motoria. «L’andatura del quadrupede», sottolinea Seripa, «con il suo movimento ritmico favorisce degli adattamenti posturali del corpo, analogamente a quanto accade durante una camminata.
Adattamenti che hanno mostrato una grande efficacia nei disturbi neuromotori in senso lato». Paralisi cerebrali infantili, forme spastiche, deficit motori derivanti da traumi: sono diverse le patologie che possono essere curate con le varie forme di ippoterapia. «Il disciplinare tecnico è molto articolato», continua lo psichiatra. «A seconda delle esigenze specifiche il paziente può salire sul cavallo da solo o con un accompagnatore, il cosiddetto maternage. Sella, staffe e andatura sono di volta in volta adattate per migliorare il controllo posturale, l’equilibrio e il tono muscolare».
Negli ultimi vent’anni la riabilitazione equestre è stata molto utilizzata anche dalla neuropsichiatria infantile (prevalentemente nei casi di iperattività e autismo) e degli adulti (ad esempio per interventi riabilitativi nella schizofrenia). «Tra uomo e cavallo si crea una connessione, una relazione che amplifica e struttura gli aiuti clinici dell’ippoterapia», sottolinea lo psichiatra. In questo caso è molto utile anche l’attività effettuata a terra, il cosiddetto grooming, cioè il prendersi cura dell’animale attraverso la pulizia e la cura del suo mantello. Un’attività ad alto contatto che facilita la nascita di un rapporto emozionale tra cavallo e paziente. «Il piacere e l’emozione nell’eseguire questi gesti di cura», evidenzia Seripa, «aiutano a sviluppare competenze relazionali e amplificano anche i risultati motori ottenuti in sella».