I 7 parametri del mobbing
— 14 luglio 2015
Capi insopportabili e colleghi odiosi sono capitati un po’ a tutti, ma quando la normale antipatia sfocia in mobbing?
Anche se alle volte ci si sente sminuiti, denigrati appositamente, messi volutamente sotto pressione, minati nella propria fiducia tutto questo potrebbe non bastare. Magari si ha un capo o dei colleghi che per buona educazione è preferibile non definire, ma per questo la legge non può fare nulla. Quando le cose si fanno più serie, allora sì che si può essere tutelati. Ma qual è quel filo sottile che segna il limite tra le due situazioni?
A fare chiarezza su una tematica ambigua ci ha pensato la Corte di Cassazione con la sentenza 10037/2015. “Per ‘mobbing’ – scrivono i giudici – si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità”.
E poi aggiungono “la Corte del merito pone a base del proprio decisum anche le risultanze della perizia, allegata agli atti, eseguita in sede penale da uno dei massimi esperti di mobbing che, esaminata la vicenda lavorativa della D.M., aveva riscontrato la presenza contestuale di tutti e sette i parametri tassativi di riconoscimento del mobbing ‘che sono l’ambiente, la durata, la frequenza, il tipo di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti, l’andamento secondo fasi successive, l’intento persecutorio’, parametri questi di cui la Corte territoriale trova riscontro, come detto, nelle risultanze istruttorie”.
Il mobbing in Italia, secondo i dati dell’Istituto per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro (Ispesl), riguarda 1,5 milioni di lavoratori su un totale di 21 milioni di occupati. Il 65% dei casi si registrano al Nord, nel 52% dei casi colpisce le donne e il settore in cui è più diffuso è quello della pubblica amministrazione (70%).