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 › ADHD Deficit Attenzione e Iperattività › Diagnosi di Adhd: molte potrebbero non essere corrette – HealthDesk

Diagnosi di Adhd: molte potrebbero non essere corrette – HealthDesk

Redazione Febbraio 23, 2018     No Comment    

Diagnosi di Adhd

Diagnosi di Adhd

Il nome del disturbo è sindrome da deficit di attenzione e iperattività, ADHD secondo l’acronimo anglosassone, e nel nostro paese, secondo stime recenti, circa il quattro per cento dei bambini in età scolare risulta positivo alla diagnosi di ADHD.

Sono quei bambini che faticano a stare concentrati, che non stanno mai fermi, che interrompono in continuazione le conversazioni degli adulti, che reagiscono in modo impulsivo, che disturbano i compagni e che non portano quasi mai a termine ciò che hanno iniziato. Quel tipo di bambino che i genitori non riescono a gestire, che gli insegnanti non vorrebbero in classe e che gli altri bollano come maleducato e indisciplinato.

La linea di confine tra chi è affetto da ADHD e chi invece è semplicemente troppo esuberante non sempre è facile da individuare. Un comportamento troppo agitato può non essere riconosciuto come un effettivo disturbo psichico, ma può valere anche il contrario. Sulle pagine del Medical Journal of Australia, alcuni ricercatori dell’Università di Perth hanno avanzato l’ipotesi che sia in realtà un disturbo sovradiagnosticato e, di conseguenza, che il trattamento avviato in seguito a una diagnosi di ADHD sia spesso inutile.

Lo studio si basa sull’analisi di oltre 310mila bambini appartenenti a due fasce di età: 6-10 anni e 11-15 anni. L’indagine ha rilevato che chi, all’interno della stessa classe, era più giovane, essendo nato nell’ultimo mese valido per l’iscrizione scolastica, aveva il doppio di probabilità di avere un riscontro positivo in una diagnosi di ADHD e trattato per tale disturbo, rispetto a chi, invece, era nato nel primo mese utile per l’accesso all’istruzione. Una correlazione più rilevante per la fascia di età più bassa esaminata, ma significativa anche per l’altra.

Un simile risultato ricalca, come ribadiscono i ricercatori australiani, quanto già era stato osservato in un’indagine condotta a Taiwan e in altre tre svoltesi negli USA. «È evidente che i bambini più giovani all’interno di una classe tendono a essere etichettati più frequentemente come affetti dal disturbo, ma c’è il serio sospetto che spesso si tratti di una diagnosi di ADHD errata cui si è arrivati in modo frettoloso», dichiara Martin Whitely, principale autore dello studio.

Bambini, in realtà ancora immaturi, verrebbero quindi scambiati per iperattivi in modo patologico. «In presenza di certi atteggiamenti sembra quasi più facile arrivare a una diagnosi di ADHD piuttosto che ricercare altre motivazioni alla base dei comportamenti dei bambini; è più immediato e i trattamenti sono disponibili», prosegue Whitley. Trattamenti che possono essere terapie psico-comportamentali, ma anche farmacologiche, con potenziali effetti collaterali.

I medicinali più utilizzati sono psicostimolanti come il metilfenidato che può portare anche perdita di peso, tossicità epatica e ritardo di crescita puberale, ma, secondo quanto afferma un recente studio canadese, nei pazienti con ADHD sarebbero anche in aumento le prescrizioni di antipsicotici, senza che in realtà sia presente un altro disturbo psichico. Sebbene il tasso di prescrizione sia relativamente basso, avvertono i ricercatori, il pericolo che certi bambini assumano farmaci senza averne bisogno esiste.

Ma sono sufficienti indagini come quella di Perth per dichiarare errate molte diagnosi di ADHD e il disturbo sovradiagnosticato? In molti credono di no. Andrebbero fatte indagini più rigorose per stabilire la reale validità delle diagnosi per questa patologia. Un disturbo di cui non si conoscono ancora le cause, anche se si pensa possa avere origine genetica. Possibili fattori di rischio poi, oltre alla familiarità, possono essere un basso peso alla nascita, lesioni cerebrali, fumo e alcol in gravidanza e l’esposizione ad alcune sostanze tossiche durante la gestazione.

Lo studio australiano ripropone la questione della rigorosità dei processi diagnostici per i disturbi mentali nei più piccoli. Se è vero che non è un bene mettere inutilmente in terapia dei bambini, è altrettanto vero che non si può rischiare di eludere o ritardare la diagnosi di un disturbo che può seriamente influenzare la vita del bambino e del futuro adulto, incidendo sullo sviluppo della sua personalità, sul suo apprendimento e sulle sue relazioni sociali.

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