La maggior parte dei farmaci utilizzati per curare la depressione grave in bambini e adolescenti sono inefficaci, alcuni possono essere persino pericolosi. Lo rileva il confronto finora più completo di farmaci antidepressivi comunemente prescritti, pubblicato su The Lancet e condotto da ricercatori dell’Università di Oxford nel Regno Unito, guidati dall’italiano Andrea Cipriani.I risultati indicano che su 14 farmaci solo uno era più efficace rispetto al placebo. Inoltre, il rischio di gravi danni rimane poco chiaro.Il disturbo depressivo maggiore è comune nei giovanissimi, colpisce circa il 3% dei bambini dai 6 ai 12 anni e circa il 6% degli adolescenti tra 13 a 18 anni. Trattamenti psicologici sono raccomandati nelle linee guida cliniche e nel 2004 la Food and Drug Administration (FDA) ha allertato contro l’uso di antidepressivi negli under 24 anni a causa della preoccupazione per un aumento del rischio di suicidio.Tuttavia, l’uso di questi farmaci è andato aumentando tra il 2005 e il 2012. Tanto che negli Stati Uniti si è passati dal 1,3% al 1,6%, e nel Regno Unito dal 0,7% al 1,1%.Cipriani e colleghi hanno fatto quindi un revisione sistematica di tutti gli studi randomizzati che confrontano gli effetti di 14 antidepressivi nei giovani con depressione maggiore fino a maggio 2015. L’analisi dei 34 trial clinici che coinvolgono complessivamente 5260 partecipanti (età media 9-18 anni) ha dimostrato che i benefici superavano i rischi in termini di efficacia e tollerabilità solo per la fluoxetina. Imipramina, venlafaxina e duloxetina avevano il peggior profilo di tollerabilità, portando significativamente a più interruzioni rispetto al placebo. La venlafaxina era collegata in particolare con un aumento del rischio di pensieri o tentativi di suicidio rispetto al placebo e agli altri antidepressivi.Sul totale degli studi esaminati, sottolineano, 22 (65%) erano stati finanziatida aziende farmaceutiche. «L’effetto di false comunicazioni è che gli antidepressivi, sono suscettibili di essere trattamenti più pericolosi e meno efficaci di quanto non sia stato in precedenza riconosciuto», commenta Jon Jureidini dell’Università di Adelaide, in Australia.