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 › Depressione › Curare la solitudine: tra biologia, creatività e depressione – Lettera43.it

Curare la solitudine: tra biologia, creatività e depressione – Lettera43.it

Redazione Settembre 3, 2018     No Comment    

Curare la Solitudine

Curare la Solitudine

Come curare la solitudine, questa condizione che- sono parole dello scrittore e aforista Roberto Gervaso – o ci fa ritrovare o ci fa perdere noi stessi. Ed è proprio nella sua ambivalenza, nel suo essere condanna o stato di grazia, frustrazione oppure libertà, che la solitudine è stata ed è ancora oggetto di indagine di scrittori, poeti, e naturalmente ricercatori. E se con l’estate la solitudine, specie quella degli anziani, torna agli onori della cronaca, stavolta fa discutere anche per una ricerca condotta dall’Università di Cambridge apparsa sulla rivista Nature Communications.

Lo studio su come curare la solitudine: fattore biologico

Secondo lo studio, frutto del lavoro del gruppo di ricercatori guidati da John Perry, esisterebbe un potenziale fattore biologico alla base delle solitudine patologica. E gli studiosi avrebbero individuato 15 varianti genetiche associate all’isolamento sociale. Gabriella Giustino, membro ordinario della Società psicanalitica italiana, commenta a Lettera43.it: «Il lavoro apparso su Nature Communications è molto interessante perché correla una vulnerabilità genetica e biologica di alcuni soggetti alla tendenza all’isolamento e al ritiro dalle interazioni umane».

La psicanalista spiega: «Le aree cosiddette “emotive” del cervello sembrano in primo piano in questa correlazione tra predisposizione genetica e tendenza all’isolamento sociale. Ma il lavoro stesso, in premessa, problematizza il fatto che non è chiaro se è nato prima l’uovo o la gallina: cioè se è l’isolamento sociale a influire su queste caratteristiche biologiche o viceversa». Sia come sia, a mettere d’accordo psicologi e psicanalisti resta il fatto che la solitudine dolorosa e melanconica e la tendenza all’isolarsi e ritirarsi dalle relazioni interpersonali siano fattori che possono favorire l’emergere di una “psicopatologia da isolamento”. E il “tempo di vacanza”, con le città che si svuotano e i negozi che chiudono i battenti, non aiuta chi è più emotivamente vulnerabile rendendo ancora più importante trovare dei modi per curare la solitudine alla radice.

Comprendere e curare la solitudine con la psicoanalisi

L’esperta aggiunge: «Essenzialmente direi che molti studi neuroscientifici vanno nella direzione della psicoanalisi e della psicologia dello sviluppo poiché affermano che noi nasciamo come esseri intrinsecamente relazionali, abbiamo bisogno di interazioni emotive per svilupparci e se qualcosa, dentro o fuori di noi, ci allontana troppo dalle interazioni umane (anche quella con noi stessi) ci ammaliamo».

La psicoanalisi, in questo senso, si pone come “cura delle emozioni”. E descrive molto bene il concetto relativo al senso di solitudine: un’esperienza interiore profonda e fondante per il senso di identità di ciascun essere umano. Come spiega Melanie Klein, il senso di solitudine ha le sue radici nelle primissime esperienze di interazione con l’oggetto – la madre o altra figura che accudisce – di cui la mente e il corpo del bambino conservano la memoria dentro di sé per tutta la vita. E questa esperienza di un rapporto di intima unione con la madre lascia una profonda nostalgia dentro ogni essere umano.

«Una nostalgia», chiarisce la Giustino, «che è come un “dolce dolore” di qualcosa che non c’è più ma che, nel tempo dello sviluppo, crea uno spazio interno per costruire un rapporto creativo con sé stessi, un dialogo interno che permette di conoscerci e riflettere sui fatti della vita». E sottolinea: «L’esperienza di sentirsi bene anche da soli è dovuta al fatto che si crea un sostituto dentro noi stessi, una sorta di coppia interna che comunica e che permette di “sentirci in compagnia anche da soli”».

E quando la dimensione di contatto con sé stessi, cioè la solitudine “creativa”, manca, accade perché «le vicissitudini con l’oggetto primario sono state difficili o traumatiche; allora permane invece dentro di noi un profondo disagio, un vuoto incolmabile che ci fa vivere l’esperienza del mondo esterno e interno come persecutoria e tormentosa». Un altro psicoanalista, Donald Winnicott, ha spiegato come la solitudine sia una capacità che ogni persona acquisisce nel suo sviluppo a partire dall’essere “soli insieme” con il primo oggetto che accudisce il bambino.

«Noi esseri umani», ricorda la Giustino, «nasciamo con un enorme bisogno di relazioni intime e appaganti che ci permettono poi nella vita di sentire la solitudine come un momento creativo e di armonia con noi stessi. Quando sentiamo, dice Winnicott, di poter “essere soli anche in presenza di un altro”, allora abbiamo acquisito la capacità di stare soli, cioè un’identità separata dall’oggetto primario che prima era tutt’uno con noi».

Dunque la solitudine ha due facce: una indispensabile alla crescita, allo sviluppo del senso d’identità e della creatività; l’altra depressiva e persecutoria, che si accentua ovviamente durante tutti i momenti difficili della vita, che comporta un profondo senso d’isolamento e che porta a sentire il bisogno di curare la solitudine. «È importante distinguere l’isolamento dalla solitudine», avverte la Giustino. «L’isolamento comporta quasi sempre una non comunicazione con sé stessi e con gli altri, un ritiro dal mondo delle relazioni umane».

La risposta che dà la psicoanalisi e, in genere, le psicoterapie psicodinamiche, a molte forme di solitudine depressiva oppure di isolamento o ritiro dal mondo della relazioni è quella di aiutare a sviluppare l’intelligenza emotiva che serve per comprendere sé stessi e gli altri. Naturalmente ci sono anche molti libri sulla solitudine che affrontano il problema dell’isolamento e della solitudine dolorosa e persecutoria, spesso connessi col senso d’identità.

Letture che – specie in questo periodo di tempo “vacante” – possono contribuire a far riflettere su un sentimento così complesso. Basti ricordare il successo letterario della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano (Mondadori, 2008) dedicato all’adolescenza. Oppure il libro di D.H. Lawrence L’uomo che amava le isole. Una metafora letteraria poetica sul senso doloroso della solitudine.

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