
Curare la Schizofrenia
L’impatto sull’esistenza dei malati e dei loro familiari rimane ancora drammatico. Ma per chi si trova a dover curare la schizofrenia, come paziente e come medico, le opportunità terapeutiche oggi disponibili sono superiori rispetto al passato. La novità in ambito farmacologico sta nei farmaci cosiddetti «long-acting», ovvero a lento rilascio.
Ma anche l’intervento psicosociale non è da disdegnare. La giusta combinazione dei due approcci «oggi ci porta a ritenere possibile il curare la schizofrenia fino alla guarigione», per dirla con Andrea Fiorillo, associato di psichiatria dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli.
I dati riportati dall’Istituto Superiore di Sanità – snocciolati nel corso dell’ultimo congresso della Società Italiana di Psichiatria Sociale – fanno riferimento per l’Italia a circa 245mila persone che soffrono di questo disturbo, con la maggior parte delle diagnosi che vengono effettuate nella terza decade di vita.
Curare la schizofrenia: il ruolo della psicoterapia
«Negli ultimi anni sono stati oggetto di studio alcuni approcci psicosociali volti a migliorare gli stili di vita dei pazienti con schizofrenia, da affiancare alla terapia farmacologica – prosegue lo specialista -. Sebbene il trattamento dei disturbi psicotici sia migliorato con l’introduzione dei farmaci antipsicotici di prima e di seconda generazione, alcuni sintomi della schizofrenia sono resistenti al trattamento farmacologico e necessitano pertanto di essere associati a terapie psicosociali. La psicoterapia cognitivo-comportamentale riduce l’intensità dei sintomi psicotici persistenti quando associata alla terapia farmacologica. Mentre l’intervento psicoeducativo familiare è la terapia psicosociale più efficace per ridurre il numero e la durata dei ricoveri dei pazienti con schizofrenia, e si è dimostrato efficace anche nel migliorare il clima familiare e la qualità di vita di tutto il nucleo familiare».
Inoltre, in molti pazienti con schizofrenia, la riduzione della qualità di vita e del funzionamento psicosociale è dovuta anche alla persistenza di sintomi quali mancanza di interessi e di piacere, tristezza e scarsa autostima. Ma con alcuni interventi di «training» sociale è possibile «migliorare le prestazioni sociali del paziente tramite l’identificazione e la risoluzione dei problemi della vita quotidiana: come i problemi sul lavoro, nelle relazioni sociali o in quelle affettive».
Obiettivo necessariamente da raggiungere, se l’impatto sociale per i malati continua a essere altissimo: secondo il Censis il 47,2 per cento abbandona il lavoro, mentre un paziente su tre non riesce a terminare gli studi. La terapia di rimedio cognitivo usata per curare la schizofrenia ha invece come obiettivo «il miglioramento dei processi cognitivi che sono frequentemente compromessi nei pazienti con schizofrenia»: dunque l’attenzione, la memoria, le funzioni esecutive e l’intelligenza sociale.
Il deficit neurocognitivo e l’aumento della mortalità
La presenza di deficit neurocognitivi rappresenta il fattore che influenza maggiormente il funzionamento sociale dei pazienti con schizofrenia nella vita reale. Senza dimenticare che i pazienti con schizofrenia hanno un’aspettativa di vita di circa vent’anni inferiore rispetto alla popolazione generale.
«Questa mortalità è dovuta all’interazione di vari fattori sociali, individuali e legati alla malattia – chiosa Fiorillo -. Un ruolo fondamentale è svolto dagli stili di vita non salutari, come il tabagismo, l’obesità, una vita sedentaria, l’abuso di alcol o droghe, i comportamenti sessuali promiscui. Occorre curare la schizofrenia anche tramite la maggiore diffusione interventi psicoeducazionali nei confronti delle persone schizofreniche per migliorare i loro stili di vita e l’aspettativa di vita». Opportunità di comprovata efficacia, ma che risultano disponibile raramente nei servizi di salute mentale italiani.
«Un trattamento integrato per curare la schizofrenia, che includa interventi farmacologici e psicosociali, è applicato in meno del trenta per cento dei pazienti e, nella maggior parte dei casi, consiste in interventi non personalizzati sulla base dei bisogni espressi dai singoli».