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 › Infanzia › Bambini maltrattati a scuola: protocollo per la prevenzione – Nostrofiglio.it

Bambini maltrattati a scuola: protocollo per la prevenzione – Nostrofiglio.it

Redazione Febbraio 18, 2019     No Comment    

Bambini Maltrattati a scuola

Bambini Maltrattati a scuola

In Italia non esistono ancora dati ufficiali sul fenomeno bambini maltrattati in ambito scolastico: a farne un quadro è stata l’associazione Via dei Colori, unica rete nazionale che assiste le famiglie per i maltrattamenti dei bambini, psicologici e fisici, nell’universo scolastico.
Dal 2010 l’ente ha ricevuto 14mila telefonate al numero verde (800 98 48 71), 1.700 segnalazioni alla mail di supporto (sos@laviadeicolori.org), e ha gestito 150 processi, molti ancora in corso.

«Negli anni abbiamo raccolto la nostra esperienza nell’Orec, l’Osservatorio sulle Relazioni educative e di cura, che poi si è tradotto in un Progetto di ricerca dedicato a strutture e operatori grazie a cui è stato realizzato un Protocollo per la prevenzione di situazioni di questo tipo» spiega Ilaria Maggi, presidente dell’associazione che ha fondato dopo la scoperta della tragica vicenda dei bambini maltrattati all’asilo Cip-Ciop in cui suo figlio era coinvolto.

Bambini maltrattati a scuola: che cosa succede alle maestre?

«Dalla nostra esperienza abbiamo rilevato che sono vari gli elementi stressogeni, ma anche le condizioni cui tutto il personale scolastico viene quotidianamente sottoposto, che possono generare situazioni pericolose per i bambini».

Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio, le criticità che le insegnanti lamentano più spesso sono:

  • classi eccessivamente numerose;
  • bambini con problematiche o patologie, non supportati adeguatamente dagli insegnanti di sostegno;
  • situazioni amministrative e infrastrutturali non adeguate allo svolgimento delle loro mansioni;
  • stipendi non adeguati;
  • eccessive responsabilità;
  • scarse opportunità di formazione personalizzata sulle effettive esigenze dei docenti;
  • lavoro altamente usurante;
  • mancanza di protocolli chiari per la gestione delle criticità;
  • inammissibilità di ricollocazione a mansioni meno stressanti anche per periodi transitori in caso di criticità;
  • mancanza di supporto psicologico, pedagogico e supervisione;
  • strutture architettoniche e strumenti di lavoro inadeguati a supportare il lavoro delle insegnanti.

«Il lavoro educativo è molto complesso, perché l’attrezzo del mestiere è lo stesso insegnante, con le sue emozioni e la sua storia. Come in molte altre professioni, ma forse in questa ancora di più, la scelta è spesso legata al proprio vissuto» sottolinea Elena Biffi, ricercatrice in pedagogia generale e sociale dell’Università di Milano-Bicocca e responsabile di Viole-Lab, il laboratorio pedagogico sulla violenza ai minori promosso da un gruppo di ricercatori in ambito pedagogico provenienti da otto Atenei italiani.

Non tutti gli operatori, però, reagiscono nelle stesso modo a parità di condizioni stressogene. «Sebbene ci sia un effettivo rischio di burnout, cioè di esaurimento da lavoro, per le professioni educative e assistenziali (secondo l’Osservatorio nazionale salute e benessere dell’insegnante dell’università Lumsa di Roma ne soffre il 67% degli insegnanti, ndr) dalle ricerche condotte dai nostri Dipartimenti di Ricerca emerge come ci siano delle diversità che condizionano le risposte degli individui. Tra queste: la predisposizione psicofisica e latenze psicologiche» evidenzia Ilaria Maggi.

Come prevenire il fenomeno dei bambini maltrattati a scuola

Per evitare si verifichino episodi di bambini maltrattati a scuola sarebbero necessarie diverse azioni:

  1. Fare una selezione mirata
    Secondo La Via dei Colori, «bisogna attivare un Protocollo di prevenzione tramite cui identificare, fin dalla selezione, l’insegnante potenzialmente pericoloso in modo da indirizzarlo su mansioni che non prevedano la vicinanza con soggetti deboli».
  2. Rendere consapevoli gli insegnanti
    Molto importante sarebbe lavorare a una maggiore consapevolezza di sé da parte degli insegnanti. «Già in fase di formazione gli educatori dovrebbero riflettere sulla propria storia educativa. Acquisire consapevolezza di come si pongono in base alla loro esperienza – riprende Elena Biffi -. Si tratta di un passaggio fondamentale per riconoscere se la fatica che si sta facendo diventa più grande del dovuto e se è il caso di chiedere aiuto».
  3. Attivare una formazione professionale continua
    La formazione dovrebbe essere continua nel tempo: «per aiutare i docenti a stare all’interno di una relazione educativa, che prevede anche di dare dei limiti e di contenere, senza però diventare vessatori, umilianti o violenti, in tutte le fasi della loro vita e del loro lavoro».
  4. Sostenere gli insegnanti attraverso il confronto di gruppo
    In ultimo, il lavoro educativo dovrebbe essere sempre svolto in gruppo. «Bisognerebbe mettere gli insegnanti in condizione di non trovarsi mai da soli con le proprie fragilità, ma pensare a questa professione come un lavoro in équipe in cui siano previsti momenti di confronto e riflessione con i colleghi. Ciò permetterebbe anche agli altri di vedere un operatore affaticato e attivare le giuste risorse per evitare che la situazione degeneri».

Bambini maltrattati a scuola, quali sono i campanelli d’allarme per i genitori?

Diversi sono i segnali che possono far emergere nei genitori il sospetto di avere di fronte dei bambini maltrattati. Grazie all’esperienza raccolta sul campo, tramite le perizie e i dati raccolti in otto anni di lavoro, La Via dei Colori ha identificato alcune analogie molto importanti tra i casi.

«L’analisi dei sintomi dei bambini maltrattati, ovvero le modalità con cui i bambini manifestano il disagio in caso di maltrattamenti o abusi, ci ha permesso di identificare dei campanelli di allarme che accomunano in larga parte tutti i casi di cui ci occupiamo».

Il comportamento più diffuso e trasversale ai diversi casi è il cambiamento repentino immotivato: «Fra le prime cose che dovrebbero richiamare l’attenzione ci sono i cambiamenti repentini nell’usuale modo di fare dei nostri cari che non siano riconducibili a fatti conosciuti del loro quotidiano familiare».
Ad esempio, la fatica a dormire in un bambino che ha sempre dormito tranquillo; una maggiore aggressività e scatti di violenza.

Tra i sintomi più comuni raccolti dall’associazione ci sono:

  • Segni più o meno evidenti di percosse o incuria non riconducibili a normali bisticci o piccoli incidenti. Ad esempio, lussazioni da tiro, pannolino sporco con feci secche, bambino assetato o affamato.
  • Giochi troppo violenti o puntivi. Non si tratta di normali comportamenti legati allo sviluppo, anche per imitazione, del bambino. Ma di «quei giochi così detti di ruolo dove ad esempio i bimbi tendono a imitare comportamenti che non possono aver visto in film, dai genitori o in situazioni che frequentano abitualmente. Parole o offese che in casa non vengono usate o “punizioni eccessive” a cui il bambino non può aver mai assistito. Nella nostra esperienza sovente abbiamo incontrato bambini che chiudono le bambole in punizione nell’armadio, o che le mettono faccia al muro. Questi sono campanelli di allarme molto forti e che lasciano pochi dubbi».
  • Insorgenza apparentemente immotivata di nuove paure e ansie. Ad esempio, la paura del buio o del lupo, che sono le più comuni, ma anche quella dei dinosauri di plastica o della polizia, e così via.
  • Insorgenza di manie e ossessioni. Ad esempio, accendere e spegnere la luce, mettere ossessivamente in fila e divisi per colore i propri giochi.
  • Frequenti sbalzi d’umore e reazioni esagerate.
  • Insorgenza di tic e gesti tipici delle situazioni d’ansia. Ad esempio, mangiarsi le unghie, mordersi il labbro fino a farlo diventare rosso o il polsino della giacca.
  • Enuresi. Bimbi già “spannolinati” che tornano a farsi la pipì addosso sia nelle ore diurne che notturne.
  • Encopresi. Difficoltà a gestire il controllo sfinterico e quindi difficoltà a trattenere le feci ma anche, all’opposto, rifiuto categorico a defecare anche per molti giorni.
  • Insonnia e disturbi del sonno.
  • Anoressia, bulimia e disturbi dell’alimentazione.
  • Ansia da separazione.
  • Disturbo dell’attaccamento.
  • Mutismo selettivo. Cioè si rifiutano di rispondere soltanto a certe domande, rispondendo “tutto bene” o “non ne voglio parlare”.Questo fenomeno si chiama “mutismo selettivo” ed è un campanello di allarme spesso sottovalutato.
  • Pianti inconsolabili per motivazioni apparentemente futili.

Che cosa possono fare i genitori?
«Se si comincia a sospettare che il bambino non stia bene a scuola i genitori devono fare la cosa più difficile di tutte: restare calmi e ascoltare il bambino facendogli capire che può sfogarsi e che noi accogliamo ciò che ci sta dicendo, anche se ci allarma» spiega Elena Biffi.

In quel momento, infatti, il bambino ha bisogno di essere ascoltato. Non è detto che stia segnalando un abuso, ma è corretto che senta di poter esprimere i propri disagi. «Il genitore deve evitare di far percepire la propria angoscia al bambino o di rivolgergli domande indagatorie, ad esempio: “allora, che cosa ti ha fatto la maestra?”. Questo perché i bambini tendono a rispondere in base a ciò che pensano voglia sentirsi dire l’adulto, quindi si rischia di scatenare una caccia alle streghe che può avere effetti dannosi».

Una volta sentito il bambino, poi, la cosa migliore è quella di «confrontarsi con chi lo conosce bene, per valutare insieme se davvero il bambino è cambiato. Questo non vuole dire mandare un messaggio di allarme sulla chat di classe, ma chiedere al proprio partner, ai nonni o ad altre mamme con cui si è in confidenza».

Quando la situazione è dubbia, «è prudente mettersi in contatto con un professionista specializzato che possa guidare adeguatamente la famiglia prima all’identificazione del problema e successivamente sull’eventuale da farsi» conclude Ilaria Maggi de La Via dei Colori.

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