Riconoscerlo e diagnosticarlo presto è una delle sfide ancora aperte per ricercatori, medici e soprattutto per le famiglie con figli colpiti dall’autismo. Anche se non c’è una “cura”, una diagnosi precoce consente di mettere in atto prima possibile gli interventi che hanno dimostrato di alleviare l’impatto del disturbo sul bambino e sulle famiglie. L’Istituto superiore di sanità ha lanciato alcuni anni fa un progetto di ricerca per individuare presto, forse perfino a partire dai primissimi i giorni di vita, i campanelli d’allarme che possano insospettire. Da poco la rete di centri italiani è entrata a far parte del network europeo EUROSIBS, che mira allo stesso obiettivo. Panorama.it ha intervistato la coordinatrice del network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico presso l’ISS, Maria Luisa Scattoni.
In che cosa è consiste il progetto?
In diversi centri italiani (ormai sono 9) abbiamo seguito fin dalla nascita bambini “a basso rischio”, cioè fratellini nati a termine di bambini “normali”, e bambini “ad alto rischio”, nati in famiglie in cui era già stato diagnosticato un altro caso di autismo. I bambini sono stati sottoposti a vari test per misurare lo sviluppo motorio, l’attenzione, le interazioni sociali e altri parametri considerati importanti nello sviluppo, fino a sei mesi ogni sei settimane, poi ogni sei mesi fino ai tre anni. Questi dati ci sono serviti per fare il confronto tra i due gruppi di bambini e per cercare di individuare i parametri che possano essere alterati precocemente in quelli che poi svilupperanno l’autismo o altri disturbi del neurosviluppo. Alcuni campanelli d’allarme sono già noti.
Quali sono?
Si sa per esempio da diversi studi che i bambini che svilupperanno l’autismo presentano fin dai primi giorni di vita un cosiddetto deficit dell’attenzione sociale. In altre parole, al contrario dei bambini “normali”, tendono a preferire (a osservare più a lungo) stimoli non sociali rispetto a quelli sociali, come può essere l’immagine stilizzata di un volto. Si è visto anche che presentano una certa ipotonia: da sdraiati, se si prova a sollevarli per le braccia, rimangono più inerti. Altre osservazioni riguardano l’asimmetria nei movimenti, ritardi nella lallazione, la mancanza di sorriso, la non risposta al nome …
Che cosa aggiunge il vostro studio, soprattutto per quanto riguarda i segnali ancora più precoci?
Già in studi su modelli animali di autismo (topi con mutazioni individuate in studi genetici su famiglie con uno o più casi di autismo) avevamo osservato delle anomalie nel repertorio vocale, i suoni emessi dai topolini, e nei comportamenti motori spontanei. Abbiamo pensato di verificare se le stesse alterazioni potevano essere osservate anche nei bambini. E in effetti ci sono alcune caratteristiche del pianto che sembrano alterate nei bambini che sviluppano autismo: caratteristiche – è bene sottolinearlo – non riconoscibili a orecchio, ma solo con l’analisi al computer del pianto. E anche alcune anomalie nei movimenti del neonato, osservate già a dieci giorni di vita.
Come pensate di utilizzare queste informazioni?
Il nostro scopo è innanzitutto confermare la validità e l’affidabilità di questi test e farli diventare standard. E in un secondo momento diffonderli su tutto il territorio nazionale come strumento di diagnosi precoce dell’autismo. Nello stesso tempo stiamo facendo un lavoro di formazione tra pediatri, genitori, operatori di asili nido per addestrarli a riconoscere i segni del disturbo.
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