
Acetil-L-Carnitina e depressione
Le persone che soffrono di depressione hanno bassi livelli del sangue di una particolare molecola, chiamata acetil-L-carnitina. La scoperta, firmata da un gruppo di ricercatori della Rockefeller University di New York, certifica un legame da tempo sotto la lente di ingrandimento della comunità scientifica, fornendo in questo modo nuovi spunti per la cura dei disturbi depressivi.
Acetil-L-carnitina: cos’è, cosa si sapeva e cosa è venuto fuori
Si tratta di una molecola già nota, prodotta in modo naturale dal corpo umano, dove svolge un importante compito nella metabolizzazione degli acidi grassi. Le sue funzioni ne hanno suggerito l’impiego come coadiuvante dietetico nel trattamento di alcune patologie.
In passato alcune indagini avevano evidenziato la possibilità di un legame tra la molecola in questione e il disturbo depressivo. Sulla base di tali indizi, lo stesso team della Rockefeller University aveva condotto una ricerca che documentava la funzione antidepressiva dell’acetil-L-carnitina nei ratti, con una rapidità di azione notevolmente superiore rispetto ai comuni psicofarmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).
Il nuovo studio, a cura dell’equipe guidata dalla dottoressa Carla Nasca, è andato in cerca di analogie con quanto scoperto in precedenza, reclutando 71 pazienti affetti da depressione di età compresa tra i 20 e i 70 anni. L’indagine ha fatto affidamento anche su un gruppo controllo composto da 45 individui senza alcun disturbo dell’umore. Tutti i volontari hanno compilato questionari dettagliati e sono stati sottoposti a valutazione clinica, mettendo inoltre a disposizione un campione del proprio sangue.
Incrociando i dati raccolti, gli scienziati hanno constatato che i pazienti con disturbo depressivo mostravano livelli ematici più bassi di acetil-L-carnitina rispetto al gruppo controllo. Le carenze erano maggiori nei soggetti clinicamente più gravi (43 sui 71 totali), una casistica che includeva, tra gli altri, i pazienti colpiti depressione in età evolutiva o che non avevano risposto bene alla terapia farmacologica.
Al momento i ricercatori non sanno spiegare quale sia l’esatta relazione tra questi due fenomeni. Il lavoro svolto sui ratti suggerisce infatti che l’acetil-L-carnitina preservi in qualche modo la salute dei neuroni eccitatori del cervello, ma il salto dal modello animale all’uomo non è per nulla automatico. Per questo motivo, Nasca e colleghi sono ora intenzionati ad approfondire l’argomento su larga scala, nella speranza di trovare nuove soluzioni per la cura della depressione. “Non abbiamo verificato se un supplemento di questa sostanza possa effettivamente migliorare i sintomi dei pazienti. Qual è la dose adeguata, la frequenza, la durata? Abbiamo bisogno di rispondere a molte domande prima di procedere con le indicazioni”, hanno concluso gli autori.